28/04/2007, 00.00
SRI LANKA
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Studiava da monaco buddista il primo sacerdote camilliano dello Sri Lanka

Ad AsiaNews p. Massimiliano N. Ranatunga racconta la storia della sua conversione dal buddismo: dall’iniziale condanna del cristianesimo, allo “stupore” di scoprirsi a pregare la Madonna fino alla ricerca di Dio e alla vocazione sacerdotale “per mettersi al servizio dei malati”.
Roma (AsiaNews) - Doveva diventare monaco buddista, oggi è il primo sacerdote camilliano dello Sri Lanka. Padre Massimiliano N. Ranatunga, 45 anni, riassume così la sua vita: “La sofferenza non mi è mai mancata, ma ad un certo punto, senza che io ancora sappia come e perché, ho trovato la gioia e la ricchezza della fede e del sacerdozio”.
 
Nato a Ragama vicino Colombo e di origine singalese, Nihal – questo il nome prima del battesimo – ha scelto di chiamarsi Massimiliano, perché la sua conversione dal buddismo è avvenuta in una parrocchia intitolata a Massimiliano Kolbe.
 
Quinto di sei fratelli, cresce in una famiglia buddista e molto povera, dove presto viene a mancare il padre. Fin da adolescente Nihal sente il desiderio di farsi monaco: “Ogni mese andavo nel tempio per cercare di entrarvi come religioso e mia madre era molto contenta, perché si dice che la presenza di un monaco tra i membri di una famiglia porta la benedizione per cinque generazioni”. “Dopo la morte di mio padre - racconta - la mia famiglia non poteva più mantenerci tutti, così mi hanno portato al villaggio di Ekala da una famiglia cattolica, che mi ha ospitato in cambio di servizi domestici. Ad Ekala ho iniziato a cercare il Signore, andavo di nascosto nella parrocchia locale, dedicata a San Massimiliano, ero semplicemente curioso, sentivo uno stato di benessere quando ero tra quelle mura e dopo poco tempo mi sono ritrovato, con stupore, a pregare la Madonna”.
 
Lo stupore di questi gesti – spiega lo stesso sacerdote – era motivato dalla “totale avversione al cristianesimo che provavo quando ancora studiavo per diventare monaco buddista”. Piano piano, Nihal inizia a farsi amici, ad andare a messa, ritagliandosi del tempo dopo aver fatto la spesa al mercato locale. Ad ogni modo i dubbi erano tanti. “Non capivo chi era questo Dio dei cristiani, ma ho continuato ad andare in chiesa senza farmi troppe domande. Non so dire con esattezza cosa mi abbia portato al cristianesimo dal buddismo, in qualche modo mi sento scelto: istintivamente ho iniziato a pregare e la fede, come l’amore, nasce anche senza spiegazioni. Del cristianesimo mi attraeva la bellezza del perdono, la gioia del servire gli altri. Nel buddismo devi cercare da solo la tua salvezza e non hai garanzia di ottenerla, mentre per noi cristiani la salvezza è Gesù risorto. Nei momenti di dolore questo ti aiuta ad avere forza”.
 
Dopo cinque anni p. Massimiliano torna a casa, a Ragama, dove dopo sei mesi di catechismo chiede di essere battezzato. È da questo momento che la strada verso il sacerdozio diventa in salita. La vocazione nasce subito, ma “problemi di salute ed incontri sbagliati” ostacolano il suo cammino. Senza mai arrendersi, arriva in Italia nel 1992. A San Giovanni Rotondo conosce suore e sacerdoti dell’Ordine di San Camillo: “Sono stato attratto dalla croce rossa che portano sul petto, dal simbolo della completa dedizione all’assistenza dei malati”.
 
Nel 1994 entra in seminario, ma in seguito ad incidente perde un occhio. “Ho comunque continuato a studiare per otto anni, finché sono diventato sacerdote nel luglio 2004, una soddisfazione enorme”. Il ricordo più bello che conserva ora è la sua prima messa celebrata in Sri Lanka, nella parrocchia di San Giuda Taddeo apostolo, “davanti a tutta la mia famiglia, anche a mio fratello maggiore che è stato il più contrario alla mia conversione”. Alla funzione ha partecipato anche il monaco del tempio locale, in un “clima di festa e armonia”.
 
P. Massimiliano ora è uno dei sei cappellani dell’ospedale San Camillo di Roma. “Curiamo la parte spirituale del malato – dice – ma non sempre è facile: cerco di parlare con loro, ma non molti lo accettano e rifiutano di avere come interlocutore un sacerdote”. Il camilliano cura anche la pastorale della comunità cingalese a Roma, mentre coltiva un sogno: “Che i camilliani aprano la loro prima casa in Sri Lanka”.
 
Finora, grazie anche al suo impegno costante, nell’ex Ceylon sono arrivate solo le religiose di San Camillo: dal 2005 a Wattala, Colombo, quattro suore hanno un centro per anziani, che ora attende di essere ampliato. E mentre lavora per realizzare un progetto, p. Massimiliano confida già di averne uno nuovo: una scuola per bambini alla parrocchia di San Giuda Taddeo, nel suo villaggio, ma per questo “servono ancora fondi”.
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