Teheran ‘ammette’ l’arresto di oltre 50 cristiani dalla guerra con Israele
Di questi solo 11 sono stati rilasciati dietro cauzione. Gli altri restano in prigione e si sommano agli oltre 60 già in cella prima del conflitto per motivi di fede. Secondo il ministero dell’Intelligence sono “mercenari del Mossad” addestrati all’estero da chiese negli Stati Uniti e in Israele. Article18: la loro “colpa” aver partecipato “a un raduno” di fedeli “in un Paese vicino”.
Teheran (AsiaNews) - Il ministero iraniano dell’Intelligence (Mois) ha ammesso di aver arrestato oltre 50 cristiani dalla fine della “guerra dei 12 giorni” con Israele, accusandoli di coinvolgimento in attività “contrarie alla sicurezza” e di “possesso di armi”. L’ammissione è stata fatta nell’ambito di un annuncio più ampio sulle attività intraprese dall’agenzia di intelligence dopo il conflitto, tra cui una presunta repressione contro bahá'í, curdi, baluchi, monarchici e giornalisti che parteciparono ad attività anti-regime. Inoltre, la polizia della Repubblica islamica ha detto di aver fermato almeno 21mila persone identificate come “sospette” durante l’escalation militare con lo Stato ebraico, in un crescendo di repressione interna.
Per quanto riguarda i cristiani, il Mois ha affermato di aver “neutralizzato” 53 “mercenari del Mossad” che erano stati “addestrati all’estero” da chiese negli Stati Uniti e in Israele e che avevano agito “sotto le spoglie del movimento evangelico cristiano sionista”. Gli esperti di Article18, sito specializzato nel documentare abusi e limiti in tema di culto in Iran, spiegano che la dichiarazione traccia - come spesso avviene - una distinzione tra i cristiani evangelici, etichettati come “sionisti”, e le comunità storiche di origine armena e assira. Queste ultime, infatti, vengono considerate “sostenitrici leali” del Paese.
I cristiani armeni e assiri in Iran, che oggi sono meno di 100mila in totale, sono una minoranza religiosa riconosciuta, a cui è consentito riunirsi per praticare il culto nella propria lingua, ma non è permesso insegnare nella lingua nazionale persiana; inoltre, non è possibile consentire agli iraniani di fede musulmana di frequentare le loro chiese. A questo si somma una pratica sistematica di controllo delle attività religiose e della vita delle comunità. Nel frattempo, la maggior parte dei cristiani presenti oggi nella Repubblica islamica - circa 800mila, spesso convertiti - non sono riconosciuti, né hanno un luogo di culto da quando sono state chiuse le chiese che un tempo offrivano funzioni religiose in lingua persiana.
Mansour Borji, direttore di Article18, sottolinea che “molte chiese in tutto il mondo rendono le loro funzioni accessibili al pubblico online. Poiché in Iran ai cristiani convertiti è vietato frequentare le chiese armene e assire, molti cercano di accedere agli insegnamenti offerti dalle chiese all’estero.
In questo caso, sappiamo che alcuni dei cristiani arrestati - aggiunge - hanno partecipato di recente a un raduno in un Paese vicino, organizzato da una chiesa straniera”. Una scelta obbligata, ricorda, proprio perché “è loro vietato di partecipare a tali raduni all’interno dell’Iran. Al loro ritorno - spiega - sono stati arrestati”.
Il ministero dell’Intelligence propina “l’assurda affermazione” che i cristiani siano “addestrati per scopi anti-sicurezza” afferma l’attivista, ma la realtà è che “hanno semplicemente ricevuto consigli su questioni spirituali dall'estero, poiché nessuno è disponibile per loro in patria”. Tali dichiarazioni, continua, sono un tentativo del ministero di “salvare la faccia davanti ai superiori, sulla scia degli umilianti fallimenti dell’intelligence nella guerra di 12 giorni con Israele”. “L’arresto dei cristiani potrebbe essere stato un tentativo di presentare una versione più difendibile delle loro azioni, e hanno preso di mira i capri espiatori più vulnerabili e facili da trovare: i cristiani” conclude Mansour Borji. E se anche nessuno di loro “è stato ancora formalmente accusato“, la gravità delle accuse infondate “è allarmante”.
L’avvocato pro diritti umani Hossein Ahmadiniaz aggiunge: “Nella Repubblica Islamica dell’Iran non esiste un sistema giudiziario indipendente o equo. Pertanto, tutti coloro che vengono arrestati con l’accusa di reati di sicurezza, politici, ideologici o di ‘spionaggio’ sono privati di un processo equo e giusto, sottoposti a gravi torture e non hanno nemmeno accesso a un avvocato indipendente”. Al momento almeno 11 dei 54 cristiani arrestati sono stati rilasciati su cauzione. Tuttavia, oltre 40 altri rimangono in carcere, oltre a quelli - oltre 60 secondo le ultime stime - che stanno già scontando pene detentive.
I casi di persecuzioni contro i cristiani rappresentano una conferma del fatto che in Iran vi sia una “netta regressione” della libertà religiosa, in linea con la crescente repressione delle autorità legata alle proteste divampate dopo la morte di Mahsa Amini per mano della polizia della morale. Un dato emerso anche nei rapporti della US Commission on International Religious Freedom, che invitano a riclassificare la Repubblica islamica come “nazione di particolare preoccupazione (Cpc)” per le sue “violazioni sistematiche ed eclatanti”. La stretta contro la minoranza religiosa ha subito un ulteriore rafforzamento in seguito alla cosiddetta “guerra dei 12 giorni” fra Israele e la Repubblica islamica, con i cristiani spesso considerati “mercenari” o “spie” al soldo dello Stato ebraico.
(Immagine tratta da Article18)
09/09/2019 08:52
02/11/2021 13:00