06/02/2024, 10.53
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Turchia a un anno dal terremoto: l’unità fra persone per ricostruire oltre l’emergenza

di Dario Salvi

La situazione resta ancora critica e Antiochia una “città spettrale”. Il contributo della Caritas nel garantire cibo, alloggio, sostegno psicologico, istruzione e scolarizzazione. Mons. Bizzeti: “Ci vorranno almeno 10 anni per capire se la regione riuscirà a risollevarsi, ma sono ottimista”.

Milano (AsiaNews) - Le “pietre vive” con le quali ricostruire dalle macerie del passato recente come racconta mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia e presidente - da poco riconfermato - di Caritas Turchia. E ancora, il sentimento forte di “unità” che “si è venuto a creare all’interno della comunità” testimoniato da Giulia Longo, Program Manager di Caritas Turchia, che definisce “il simbolo vero, e più concreto” in un quadro di profonde devastazioni. Sono i pilastri sui quali si può fondare la ricostruzione di “una Chiesa diversa da quella di prima”, ma che parte dalla scelta di “rimanere nonostante tutto” in questa fase drammatica nella storia della regione. Così il vicario dell’Anatolia e la responsabile dell’ente cristiano raccontano, a distanza di un anno da quel drammatico 6 febbraio 2023, una realtà segnata ancora oggi nel profondo dal terremoto, da difficoltà e incertezze della ricostruzione, in quadro che resta di profonda e drammatica precarietà. 

Emergenza continua

Il sisma di magnitudo 7,7 resta una ferita aperta per la Turchia (e la vicina Siria) con una realtà di grave emergenza in decine di centri nel sud e nel sud-est, per quello che è considerato il peggior disastro naturale della storia moderna. In seguito alla scossa principale si sono verificate, nei tre mesi successivi, almeno 30mila di assestamento e la terra continua a tremare: il 27 gennaio a Malatya si è registrato un terremoto di magnitudo 5.1 che ha risvegliato paure e traumi mai sopiti. Stime ufficiali riferiscono di un’area danneggiata pari alla Germania (circa 350mila km2) e che ha coinvolto fino a 14 milioni di persone, il 16% circa della popolazione. Le vittime ufficiali sono 59.259 (e 8.476 in Siria) ma, come puntualizza mons. Bizzeti, “il dato reale si aggira forse attorno a 150mila” e “le proporzioni del disastro sono ben maggiori”. Per gli esperti Onu sono 1,5 milioni le persone senza casa e una stima dei danni ammonta 148,8 miliardi di dollari (pari al 9% del Pil), mentre ieri decine di migliaia di persone hanno manifestato nella provincia di Hatay, la più colpita, per protestare contro la “negligenza” del governo negli aiuti e nella ricostruzione.

Nella prima fase il vicariato d’Anatolia e Caritas Turchia hanno distribuito acqua, viveri, coperte, abiti, medicinali, detersivi, materiali per la pulizia sia nella sede dell’episcopio a Iskenderun, che a domicilio, nelle strade e nei primi accampamenti. Poi si sono aggiunte tende-scuola per garantire l’istruzione e contribuire allo sviluppo dei ragazzi in un contesto di grave bisogno. In un secondo momento gli interventi hanno riguardato tende, cucine da campo, bagni-doccia, container e utensili per la mensa, ventilatori e frigoriferi. Decine di migliaia le famiglie assistite con beni, aiuto psicologico e cure mediche. Ciononostante ad oggi “si vive ancora una situazione di grave emergenza” e “ci vorranno almeno 10 anni - spiega mons. Bizzeti - per capire se la regione riuscirà a risollevarsi, ma sono ottimista”. 

Caritas in prima linea

In una situazione di forte criticità in Turchia, come nella vicina Siria, la rete delle Caritas locali e di Caritas Internationalis continua la propria opera a sostegno di una popolazione bisognosa, e non di rado abbandonata a se stessa. Uno sforzo imponente messo in campo in questi mesi e testimoniato dai numeri: al dicembre 2023 Caritas Turchia aveva distribuito oltre 6.280 pasti, 4.422 pacchi alimentari e 5.201 articoli per l’igiene. Almeno 121 famiglie hanno ricevuto materiale scolastico e 221 sussidi per far fronte al pagamento dell’affitto. L’ente cristiano ha anche fornito alle popolazioni colpite 1798 ventilatori (per lenire il caldo estivo), 9.444 pacchetti di legno e carbone e 336 dispositivi di riscaldamento per fronteggiare le rigide temperature invernali. La precaria situazione umanitaria è stata esacerbata anche dalle inondazioni che hanno colpito il Paese negli ultimi mesi, aggravando la condizione degli sfollati. 

“Finora abbiamo superato le 20mila persone aiutate, circa 6mila famiglie, concentrate nella provincia di Hatay” racconta Giulia Longo. “Un anno fa, nella prima fase, ci siamo concentrati su cibo e materie prime, accesso all’elettricità e all’acqua. Ora siamo ancora alla distribuzione dei pasti, stiamo sempre parlando di tende-container e generi di prima necessità, perché manca tutto. Nei centri di accoglienza si registrano incendi causati da corto-circuiti elettrici dovuti a pesanti piogge, inondazioni, frane e fango” e con la terra che continua a tremare “riceviamo chiamate anche da chi ha la casa agibile” ma teme nuovi crolli. L’impegno non è indirizzato solo ad alloggio e sostentamento ma intende favorire anche la ripresa delle attività produttive: “Per questo - prosegue la responsabile Caritas - finanziamo micro progetti che portino all’autonomia come una stalla, un laboratorio di maglieria, ecc”. Infine, vi è l’aspetto educativo perché non si perda una intera generazione: “In un primo momento - spiega - abbiamo aperto delle classi in alcune tende messe a disposizione dalla diocesi” affiancando l’insegnamento a distanza, pratica già usata durante la pandemia di Covid-19. “Tuttora - sottolinea - abbiamo borse di studio e piani di sostegno alla scuola”, cui si sommano “progetti di aiuto psicologico, ricorrendo pure all’uso di cliniche mobili”.

Ricostruire da “pietre vive”

Per la comunità cristiana “il simbolo della distruzione” è la cattedrale di Iskenderun, la chiesa dell’Annunciazione, un edificio del 19mo secolo “completamente raso al suolo”. “A distanza di un anno la prima preoccupazione è ripartire dalle ‘pietre vive’: oggi è in crescita un edificio nuovo, una cattedrale fatta di persone” composta anche “da tante persone che vogliono diventare cristiane, catecumeni che hanno intrapreso il cammino e laici che si impegnano per costruire una Chiesa viva”. Un esempio è la partecipazione entusiasta di decine di ragazzi e ragazze, provenienti anche dall’area terremotata, alle Giornate mondiali della gioventù (Gmg) a Lisbona. Un gruppo accompagnato dal gesuita p. Antuan Ilgit che, proprio lo scorso anno dopo l’esperienza portoghese e l’incontro con papa Francesco, è stato nominato ausiliare del vicariato dell’Anatolia. Una vocazione “nata dal terremoto”, ma che è al tempo stesso simbolo di ricostruzione e di una Chiesa che “si fa sempre più turca” come ha più volte auspicato in passato lo stesso mons. Bizzeti. 

Tornando alla gestione post-sisma, essa “presenta criticità sia per le dimensioni enormi, sia perché si è spesso impreparati ad affrontare tragedie di questa natura” e l’esempio ancora attuale resta Antiochia, il “cuore della devastazione: una città spettrale, di cui non si sa ancora cosa si farà”. “Se verranno salvati alcuni edifici, se si spianerà tutto ricostruendo da zero o se si vorrà approfittare - prosegue - per compiere scavi approfonditi” e scoprire il patrimonio nel sottosuolo. In una prospettiva di lungo periodo, se si dovesse decidere di realizzare una metropoli moderna di grattacieli “serviranno comunque dei piani regolatori - avverte il vescovo - idee e progetti, una gestione che non sia clientelare. Sotto questo aspetto il governo ha bisogno di tempi lunghi e forse arranca”. Di contro, i (pochi) abitanti rimasti “mostrano una incredibile capacità di resilienza”: fra i molti esempi, il vicario conclude raccontando di “una famiglia che aveva un negozio di dolciumi e che ora possiede solo una baracca, in cui ha riaperto l’attività ed è tornata a vendere dolci”. 

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