20/11/2025, 12.56
TURCHIA - OCEANIA
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Turchia e Australia si accordano sulla COP31, ‘deluse’ le isole del Pacifico

I due governi hanno raggiunto l’intesa dopo che le divisioni avevano fatto ipotizzare un ripiego sulla sede dell’organismo a Bonn. Ankara ospiterà l’evento, a Canberra la “guida” del comitato. Restano i timori sulla reale efficacia della collaborazione fra i due Paesi, uniti alle critiche delle nazioni del Pacifico che puntavano all’organizzazione della manifestazione.

Ankara (AsiaNews) - La Turchia sarà il Paese ospitante, l’Australia la guida istituzionale della manifestazione. Mentre alla COP30 di Belem in Amazzonia in queste ore si sta trattando sul documento finale della Conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici che terminerà domani, si è chiuso con un accordo che soddisfa entrambe le parti lo scontro fra Ankara e Canberra sull’organizzazione della COP31, l'edizione del 2026 di questo appuntamento annuale che - come prevedono i regolamenti delle Nazioni Unite - si sarebbe dovuta tenere in una fra le nazioni dell’Europa occidentale, l’Australia e gli altri Paesi dell'Oceania. In quest’ultima categoria rientrano le isole del Pacifico che risultano le vere sconfitte sul piano politico, dopo aver dialogato a lungo col governo australiano per una iniziativa comune. 

Per stabilire l’assegnazione dell’evento è necessario il consenso, ma nessuno dei Paesi candidati sembrava disposto a fare un passo indietro. La svolta è arrivata con l’Australia che ha accolto l’offerta turca di rinunciare ad ospitare la manifestazione, in cambio della guida dei colloqui e della macchina organizzativa a conclusione della COP30 in corso in Brasile, che guiderà il tavolo di lavoro per l’appuntamento del prossimo anno. Una soluzione inusuale e che ha sorpreso esperti e analisti, perché sinora il presidente era nominato fra i leader della nazione organizzatrice. 

Minimizzando rischi e timori sul funzionamento pratico di questa nuova partnership, il primo ministro australiano Anthony Albanese ha definito il compromesso con Ankara un “risultato eccezionale” e ha aggiunto che le questioni del Pacifico rimarranno “in primo piano”. Il capo del governo di Canberra ha precisato di aver parlato con l’omologo della Papua Nuova Guinea James Marape e col primo ministro Rabuka delle isole Figi.

Al netto delle rassicurazioni australiane, tuttavia, emergono già le prime voci critiche da parte delle nazioni del Pacifico, di fatto escluse dall’organizzazione dell’evento pur sperimentando in prima persona i problemi legati ai cambiamenti climatici: al riguardo, il ministro degli Esteri della Papua Nuova Guinea Justin Tkatchenko ha detto che “non siamo tutti felici” e non nasconde “delusione” per come si sia conclusa la vicenda. In precedenza il leader delle Isole Salomone Jeremiah Manele aveva detto che si sarebbe sentito “contrariato” se l’Australia non si fosse assicurata l’evento.

I Paesi attualmente riuniti alla COP30 di Belém si sono detti sollevati per il raggiungimento di un compromesso, dato che la mancanza di accordo sulla sede sarebbe stata fonte di imbarazzo per L’Onu. La Turchia, che ha proposto di ospitare la COP31 nella città di Antalya, riteneva di avere buone ragioni per essere scelta come nazione ospitante, dato che nel 2021 si era ritirata permettendo al Regno Unito di tenere la conferenza a Glasgow. Se nessuno dei due Paesi fosse stato disposto a patteggiare, la riunione si sarebbe tenuta nella città tedesca di Bonn, sede dell’organismo delle Nazioni Unite per il clima.

Il compromesso raggiunto prevede che la riunione pre-COP si terrà su di un’isola del Pacifico, mentre l’evento principale sarà in Turchia. Il ministro australiano per il clima Chris Bowen ne sarà il presidente. Anche Ankara nominerà un presidente che gestirà la sede, organizzerà le riunioni e i programmi. La marcia indietro di Canberra è destinata però ad alimentare più di una polemica per il premier Albanese, il quale aveva esercitato lunghe e intense pressioni per ottenere il sostegno delle altre nazioni del gruppo dell’Europa occidentale. Il compromesso dovrà essere ratificato da oltre 190 paesi riuniti in Brasile per la COP30, ma considerate le criticità incontrare per raggiungere il compromesso risulta assai improbabile che vi siano obiezioni.

L’Australia aveva presentato la candidatura parlando di “COP del Pacifico”, grazie alla collaborazione delle nazioni insulari dell’area fra le più colpite da cambiamenti climatici e innalzamento dei mari. Il governo aveva già investito oltre 4,5 milioni di dollari nella preparazione, confidando nel sostegno di un gran numero di Paesi che avrebbe consentito di superare la concorrenza turca. Tuttavia, a dispetto del disappunto dei leader della regione del Pacifico vi è chi parla di “buon risultato” come David Dutton, direttore della ricerca presso il Lowy Institute fino a settembre assistente segretario della diplomazia climatica di Canberra. “Allevia parte dei costi e dell’onere dell’organizzazione della COP - afferma - creando opportunità per l’Australia e il Pacifico per fare qualcosa al riguardo”.

Soddisfazione viene infine espressa dalla Turchia, anche se non mancano contraddizioni e criticità in tema ambientale per il Paese a cavallo fra Europa e Asia. Secondo gli ambientalisti, ad Ankara oggi per contrastare le sfide poste dai cambiamenti climatici sono necessarie scelte politiche ancora più incisive per raggiungere l’obiettivo di “zero emissioni” per il 2053, pur a fronte di emissioni relativamente basse. Inoltre, l’aumento delle temperature sta indebolendo la capacità di de-carbonizzazione delle foreste della Turchia, in particolare aumentando il rischio di incendi boschivi. Il carbone alimenta il 30% dell’approvvigionamento energetico totale e oltre un terzo dell’elettricità. Il passaggio alle energie rinnovabili (più che raddoppiata, con il Paese undicesimo al mondo e quinto in Europa in termini di capacità energetica delle rinnovabili) ridurrebbe i costi, diminuirebbe la dipendenza e affronterebbe il problema dell’inquinamento atmosferico. Tuttavia, sarà necessario fornire sostegno ai lavoratori e alle regioni che dipendono fortemente da questo settore. 

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