09/05/2023, 08.41
RUSSIA
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Una madre di Kazan e la crisi dei servizi sociali russi

di Vladimir Rozanskij

Nel Tatarstan Diljara Gajsina sta lottando in tribunale contro l'intenzione di toglierle i figli per le inaccettabili condizioni dell'abitazione che è stata l'amministrazione locale stessa ad assegnarle. Una storia emblematica del progressivo peggioramento delle condizioni di vita nelle regioni periferiche.

Mosca (AsiaNews) - Sta creando un certo scalpore a Kazan, capitale della repubblica russa del Tatarstan, il conflitto tra una giovane madre e la procura locale, che si sta valutando in questi giorni davanti al giudice. I funzionari vogliono togliere la tutela del figlio 13enne e della bambina di 2 anni a Diljara Gajsina, sulla base delle inaccettabili condizioni igienico-sanitarie della sua abitazione. La mamma risponde che tali condizioni sono state provocate dalle decisioni dell’amministrazione, e il caso sembra riflettere un malumore diffuso nella società russa, soprattutto nelle regioni periferiche, a causa del progressivo peggioramento delle condizioni di vita e dei servizi sociali.

L’appartamento dove Diljara vive sola con i due figli è di assegnazione popolare, ottenuto dopo alcuni anni di lotta con il governo di Kazan, un bilocale all’ultimo piano di una casa-alveare del tipo chiamato Leningradka, in cui è riuscita a trasferirsi dopo aver vissuto a lungo in una baracca da cantiere. Già durante i primi scontri con la burocrazia, si è tentato senza successo di togliere “temporaneamente” i figli alla madre.

Prima dell’inizio del processo, la Gajsina ha esposto per alcuni giorni un cartello davanti al palazzo della procura con la scritta “No alla tutela fascista – lasciate i miei figli in pace!”, ripetendo il picchetto anche in altri punti della città, con il sostegno dei passanti. Sul cartello ha alternato anche altre scritte di protesta: “Si richiede un’operazione speciale della procura per salvare i bambini dagli assistenti sociali!”, “Contro tutti gli accordi internazionali, il potere rapisce i bambini alle madri russe!”, “Procuratore! Alla Gajsina l’assistenza toglie i bambini per il casino fatto da loro!”, e altre simili, con allusioni al linguaggio “bellico” dei tempi attuali.

Le frasi a effetto hanno ulteriormente fatto infuriare le forze dell’ordine, che hanno più volte fermato e perquisito Diljara, senza però arrivare all’arresto, per evitare reazioni ancora più eclatanti. Il trasferimento dalla baracca alla casa popolare era avvenuto a dicembre del 2021, per decisione dell’ufficio addetto del governo di Kazan, che spesso assegna ai bisognosi appartamenti di poco più confortevoli dei ripari in cui si trovano. Al nono piano della casa della Gajsina era morta poco tempo prima un’anziana, il cui corpo era stato ritrovato dopo diversi giorni, e l’appartamento era infestato da un odore insopportabile.

I bambini sono stati portati solo alcuni giorni dopo, cercando prima di ventilare al massimo le due stanzette, per far scomparire anche l’effetto dei pesanti prodotti chimici che erano stati diffusi dopo l’asportazione del cadavere. E il giorno seguente, in seguito a pesanti piogge, l’acqua ha cominciato a filtrare in corridoio, nel ripostiglio e nelle stanze, entrando dall’uscita di sicurezza sul tetto, completamente rovinata.

La mamma ha cominciato allora una lunga battaglia cartacea, scrivendo in continuazione a tutti gli uffici interessati per ottenere le minime riparazioni necessarie alla vita quotidiana: “stavamo meglio nella baracca”, racconta Diljara. A febbraio di quest’anno la sua insistenza ha fatto riunire una commissione di verifica, in seguito alla quale è iniziata la causa per toglierle la tutela dei figli, seguita da una fila di altri gruppi di controllo, compresa una squadra di psicologi. Le sono stati proposti diversi verbali da firmare, lei li ha stracciati tutti, consegnando le sue relazioni sulla situazione e sulle cause dei problemi evidenti: “Mi hanno trattata da criminale, quando era evidente che volevano solo liberarsi del problema per evitare reazioni da parte della gente intorno”.

La notte prima dell’apertura della causa in tribunale, Diljara ha portato i bambini in un appartamento “segreto”, con l’aiuto del suo avvocato, Aleksej Zlatkin, per il timore che venissero prelevati dalla polizia, influendo con questo sulle decisioni del giudice. L’avvocato spiega che “negli ultimi tempi sempre più spesso in Russia i bambini vengono sottratti alle famiglie, anche su pressioni politiche”, con una “guerra interna” parallela a quella dell’Ucraina: le mamme che non si piegano alle autorità sono considerate “nemiche della patria”.

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