28/05/2025, 15.58
COREA DEL SUD
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Vescovi coreani: 'I quattro requisiti di un buon presidente'

Alla vigilia del delicatissimo voto del 3 giugno la Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale cattolica ha indicato agli elettori e ai politici le caratteristiche che chi sarà eletto dovrà incarnare per promuovere davvero il bene comune in Corea del Sud: servizio alla gente, capacità di unire oltre le barriere ideologiche e sociali, promozione della pace con Pyongyang, impegno per la salvaguardia dell'ambiente.

Seoul (AsiaNews) - Un presidente “che unisce e raccoglie” in una società dove “conflitti e contrasti come quelli ideologici, generazionali e di genere diventano sempre più intensi”. È uno dei criteri che i vescovi cattolici della Corea della Sud indicano agli elettori in vista delle delicatissime elezioni presidenziali in programma il 3 giugno. Un voto che giunge dopo mesi di contrasti tra le forza politiche, culminati nel tentativo dell’ex presidente Yoon Suk-yeol di imporre la legge marziale, costatogli poi l’impeachment decretato dalla Corte suprema che ha portato al voto che vede fronteggiarsi principalmente tre candidati: quello del Partito Democratico Lee Jae-myung – sconfitto per una manciati di voti da Yoon nel 2022 e oggi favorito nei sondaggi -, Kim Moon-soo del Partito del Potere Popolare (la forza politica conservatrice che aveva eletto Yoon) e Lee Jun-seok, ex leader del PPP che ha dato vita al Nuovo partito riformista.

Senza entrare ovviamente nella sfera delle indicazioni di voto, i vescovi hanno diffuso qualche giorno fa un messaggio rivolto ai cattolici che indica quattro requisiti a cui chi verrà eletto dovrà rispondere per la “realizzazione del bene comune”. A firmarlo è il vescovo di Jeonju, mons. John Kim Son-tae, che è presidente della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale.

Innanzitutto – scrive mons. Kim – alla Corea del Sud occorre “un presidente che serva la gente”. Tutte le istituzioni del Paese, comprese la magistratura e i media - commenta - “devono servire il popolo e non dominarlo”. Di qui l’auspicio che il nuovo presidente eletto adotti “una politica sana che possa riformare e adeguare le istituzioni, promuovere le migliori pratiche e superare pressioni indebite e l'inerzia burocratica” (Laudato Si', 181).

Il secondo è appunto la capacità di unire il Paese, andando oltre i tanti contrasti che lo attraversano, che attengono alle divisioni ideologiche, ma anche al “divario tra ricchi e poveri, che peggiora con le persone socialmente svantaggiati sempre più ignorate” e “l’esclusione degli stranieri, soprattutto lavoratori migranti e rifugiati”. “Un buon leader – si legge nel testo del presidente della Commissione Giustizia e pace - è colui che si impegna a far sentire voci diverse”. Il fatto stesso di riconoscersi come una repubblica significa che “gruppi o forze con idee e interessi diversi devono poter convivere in armonia senza essere discriminati o emarginati”.

Il terzo tratto è quello di “un presidente che coltiva la pace”. “La Corea – scrive mons. Kim - è un Paese diviso. Le tensioni e i conflitti tra Nord e Sud hanno un grande impatto negativo sulla qualità della vita dei singoli cittadini e sono un ostacolo importante alla prosperità del Paese e allo sviluppo della democrazia”. “Siamo ancora tentati dalla logica del potere e dall’accumulo della forza – commenta -. Spero invece che il nuovo presidente eletto coltivi la vera pace affinché la penisola coreana possa andare oltre l’armistizio verso la pace e dalla divisione alla riunificazione”.

Infine il quarto requisito richiesto dai vescovi coreani è che sia eletto “un presidente che preservi la Terra come casa comune”. “La crisi climatica – osserva il vescovo di Jeonju - sta diventando sempre più incontrollabile ed è una tragedia causata dall’avidità e dall’egoismo umano”. “per questo - conclude - spero che il nuovo presidente eletto formuli e attui politiche per superare la crisi climatica e si impegni a proteggere l’ecologia e l’ambiente”.

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