29/03/2023, 12.10
MYANMAR
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Yangon, elezioni: sciolto il partito di Aung San Suu Kyi. Si prevede aumento violenze

Ad affermarlo è un rapporto pubblicato ieri dall'International Crisis Group. La giunta golpista birmana vuole a tutti i costi tenere votazioni nazionali per cancellare la vittoria della Lega nazionale della democrazia ottenuta a novembre 2020 prima del golpe. Ma l'opposizione popolare è forte e determinata.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - La giunta golpista birmana che ha preso il controllo del Myanmar con un colpo di Stato nel febbraio 2021 ha annunciato lo scioglimento della Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito dell'ex leader Aung San Suu Kyi. Secondo gli esperti si tratta di un’azione messa in atto per impedire un ritorno del governo civile in occasione delle prossime elezioni, ma che con ogni probabilità provocherà un ulteriore aumento della violenza a causa della forte opposizione popolare.

In base a una nuova legge approvata a gennaio dalla giunta militare, a tutti i partiti già presenti nel Paese sono stati concessi due mesi per registrarsi nuovamente e avere così la possibilità di partecipare alle elezioni (che i commentatori danno per scontato non saranno libere ed eque). La Lega nazionale per la democrazia, che non considera legittimo l’attuale governo, si è rifiutata di farlo ed è stata quindi sciolta insieme ad altre 40 formazioni politiche. 

Ma le imposizioni per impedire un ritorno della democrazia in Myanmar non finiscono qui: in base alla normativa approvata a gennaio, i partiti che vogliono presentarsi alle elezioni devono avere almeno 100mila membri iscritti entro tre mesi dalla registrazione (contro i 1.000 che bastavano prima), e possedere fondi per 100 milioni di kyat (pari a 44mila euro), un aumento di 100 volte rispetto a quanto previsto in precedenza. 

La legge infine vieta ai candidati di avere legami con individui e organizzazioni ritenute terroristiche, le cui caratteristiche non vengono specificate per escludere con facilità i nemici politici. Più volte le milizie delle Forze di difesa del popolo (Pdf) che combattono nelle file della resistenza come braccio armato del Governo di unità nazionale in esilio (Nug), composto perlopiù da ex deputati della Lega nazionale per la democrazia, sono state bollate come gruppi di “terroristi”. 

Secondo un’analisi pubblicata ieri dall’International Crisis Group, l’obiettivo del generale a capo dell’esercito Min Aung Hlaing è di “soppiantare la vittoria schiacciante” ottenuta da Aung San Suu Kyi alle ultime elezioni democratiche del novembre 2020. L’icona democratica e premio Nobel per la pace, arrestata in occasione del golpe, sta scontando una pena di 33 anni allo scopo di essere tenuta lontana dalla politica, dopo aver dovuto affrontare quello che gli osservatori internazionali ritengono un processo farsa. 

Senza un ulteriore estensione (incostituzionale) dello stato di emergenza, che la Carta fondamentale del Myanmar del 2008 prevede per un massimo di 24 mesi, le votazioni volute dalla giunta potrebbero tenersi al più presto a novembre di quest’anno oppure a gennaio del 2024. 

Gli analisti dell’International Crisis Group ritengono che “l’enfasi del regime sulle elezioni non è retorica, ma riflette il reale desiderio di passare dallo stato di emergenza a una forma più duratura di regime politico a guida militare”. E per farlo si rivolgono alla stessa Costituzione che, redatta durante un precedente periodo di dittatura militare, annovera tra i principi fondamentali il “ruolo di leadership politica nazionale” dell’esercito, al quale erano infatti riservati un quarto dei seggi in Parlamento. Tuttavia, continua il rapporto del think-tank, i militari hanno percepito che sotto il governo della Nld questo loro ruolo si stesse riducendo: da qui il colpo di Stato e le successive violenze.

Le elezioni potrebbero essere le più violente a cui il Myanmar abbia mai assistito, avvertono gli esperti: “La maggioranza della popolazione, che vede nelle urne un cinico tentativo dei militari di perpetuare il proprio controllo politico, non ha alcun interesse a partecipare”, mentre le organizzazioni etniche armate formatesi ai tempi dell’indipendenza del Paese nel 1948 per combattere contro il governo centrale, ora alleate delle Forze di difesa del popolo, hanno già colpito con i loro attacchi più di una decina di addetti alla compilazione degli elenchi elettorali.

Il regime sembra determinato a non accettare boicottaggi, ma per permettere un’ampia partecipazione popolare dovrà fare in modo di controllare anche le parti di territorio che continuano a essere in mano alle forze della resistenza portando avanti il conflitto contro le milizie e i civili.

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