02/05/2025, 13.00
VERSO IL CONCLAVE/14
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Poola: primo cardinale Dalit indiano, al servizio di poveri ed emarginati

di Nirmala Carvalho

Nato da una famiglia mista con padre cattolico e madre indù, sin da piccolo ha sperimentato in prima persona le difficoltà - l’emarginazione - dei fuori casta. Il percorso di studi completato solo grazie a uomini di Chiesa attraverso i quali rafforza la fede e scopre la vocazione. Hyderabad realtà cosmopolita, multi-culturale e con lingue diverse. La “sfida” è l’annuncio del Vangelo. 

Delhi (AsiaNews) - “Sono nato cristiano, mio padre era un cattolico battezzato ma mia madre era indù e il loro matrimonio si è svolto secondo il rito cattolico. Mio padre era un catechista dei Missionari di Mill Hill e sono cresciuto sotto la guida di p. Boone, un Missionario di Mill Hill”, la Società missionaria di San Giuseppe di Mill Hill. È quanto racconta ad AsiaNews il card. Anthony Poola, arcivescovo metropolita di Hyderabad, capoluogo dello stato di Telangana nel sud dell’India, fra i porporati al Conclave per eleggere il successore di papa Francesco. Ripercorrendo le origini della fede e il contesto familiare, non nasconde le difficoltà sperimentate dall’infanzia. “Il mio è un piccolo villaggio, ma a causa del sistema delle caste - noi siamo Dalit - vivevamo in periferia e non facevamo parte dell’insediamento” restando “a circa mezzo chilometro di distanza dalle case delle caste superiori: non ci era permesso nemmeno di attingere acqua dai pozzi delle caste superiori”. “Quando avevamo sete - racconta - e andavamo da persone di casta superiore, dove vi era un pozzo, versavano l’acqua da una distanza elevata nelle mani tese e noi dovevamo bere. Ma questo non mi stancava e non era doloroso. Abbiamo accettato questo stigma sociale”. 

“Secondo il governo, una volta battezzati, perdiamo tutti i diritti e i benefici concessi ai Dalit dal governo, per l’istruzione, le borse di studio, le riserve di lavoro, ecc” aggiunge il card. Poola, spiegando le criticità che si trovano ad affrontare quanti vivono ai margini della società. Al termine della scuola elementare ha dovuto abbandonare gli studi a causa delle ristrettezze economiche della famiglia, col padre che non poteva permettergli ulteriori studi dopo la terza media. Rimasto a casa un anno, durante un capo estivo incontra missionari olandesi che si offrono di contribuire al suo percorso educativo riconoscendone le potenzialità. Una possibilità non priva di sacrifici, come i chilometri quotidiani da percorrere, spesso scalzo, per raggiungere l’istituto. 

Ciononostante, riesce a frequentare le superiori e l’università dove compie studi economici e, proprio in quel periodo, riferisce al suo mentore il desiderio di entrare in seminario. “Dopo la seconda media - ricorda - ho dovuto fare una pausa a causa della povertà. Pensavo che la mia istruzione fosse finita lì. Ma sono stati soprattutto i missionari a interessarsi a me, a portarmi a Kadapa e ad aiutarmi a proseguire gli studi. Dopo la laurea, sentivo di non avere alcun legame con questi missionari. Ma loro si sono presi cura di me, mi hanno aiutato a frequentare la scuola e mi hanno fatto maturare. Questo è il motivo - spiega - per cui ho voluto entrare in seminario”.

Da vescovo scrive testi, dirige cori e produce musica devozionale telugu e lancia una newsletter diocesana “Kurnool Vani”, oltre a supervisionare l’istituzione di 11 nuove parrocchie sostenendo istruzione agli indigenti. E ancora, assicura l’istruzione di base e superiore ai bambini poveri avviando borse di studio per loro. Il suo motto di vita è: “Buone notizie ai poveri”, una visione che gli è valsa l’ammirazione dei Dalit, che costituiscono il 75% della Chiesa cattolica indiana.

“Questi luoghi - spiega - sono molto poveri e soggetti a siccità. Quando dobbiamo andare nei villaggi, possiamo farlo solo la sera, perché la gente va a lavorare durante il giorno. Suoniamo la campana della chiesa, raduniamo i bambini e insegniamo il catechismo. E la gente a volte deve cucinare e venire in chiesa. È meraviglioso osservarlo. Questo mi ha fatto muovere da compassione e amore, e soprattutto dalla grande responsabilità che sentivo nei confronti dei bambini nel dare loro il dono dell'istruzione, perché non hanno soldi o beni da vendere”. In quest’ottica, riflette, è come se “stessi guardando alla mia storia di vita”.

Il card. Anthony Poola, arcivescovo Metropolita di Hyderabad, è nato il 15 novembre 1961 a Poluru, nella diocesi di Kurnool. Dopo aver frequentato il seminario minore a Nuzvid ha studiato presso il St. Peter’s Pontifical Seminary a Bangalore, ricevendo l’ordinazione sacerdotale il 20 febbraio 1992, per poi essere incardinato nella diocesi di Cuddapah. Dopo i primi anni da vice, il futuro cardinale è parroco fra il 1994 e il 2003 a Tekurpet, Badvel e Veerapalli, per poi conseguire un master in pastorale sanitaria e in Teologia negli Stati Uniti. Dal 2004 al 2008 è direttore della Christian Foundation for Children and Aging, segretario per l’Educazione e vice-amministratore delle scuole diocesane. L’8 febbraio 2008 è nominato vescovo di Kurnool e il 19 novembre 2020 arcivescovo metropolita di Hyderabad. Una realtà che definisce “cosmopolita, multi-culturale e lingue diverse, ma i Dalit non sono molti: solo 5 o 6 su 141 sacerdoti, la maggioranza è di casta superiore”. La berretta cardinalizia viene consegnata nel concistoro dell’agosto 2022; è membro del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

“La sfida per me - confida - è l’annuncio del Vangelo, soprattutto nei santuari e nelle istituzioni (scuole, collegi, ospedali, ecc.) dove teniamo sia la sacra Bibbia che la BhagwatGita […] è una grande sfida per noi uscire con coraggio e proclamare il Vangelo”. “Nelle nostre scuole - aggiunge - abbiamo un corso di religione per gli studenti cattolici, dove viene insegnato il catechismo, e un corso di morale per i bambini di altre fedi”. “I poveri sono generosi, donano i loro talenti, offrono tempo e risorse, vengono volontariamente ad aiutare. Come diceva papa Francesco, sono i poveri ad essere generosi o, come dice Madre Teresa, a dare finché non fa male. Dovremmo essere buoni samaritani, missionari della compassione, persone pronte - conclude il porporato - ad andare ad aiutare e a mettere a disposizione tempo, talenti ed energie”.

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