Yangon: il regime birmano usa l'amnistia per intimidire i civili in vista delle elezioni
La giunta militare del Myanmar ha liberato più di 3.000 detenuti politici e ritirato le accuse contro altre 5.500 persone. Amici e parenti dei prigionieri ieri hanno gioito, ma è anche una minaccia nei confronti della popolazione, che si ritrova costretta a votare per non essere arrestata. A confermarlo sono gli stessi militari: oltre 700 prigionieri saranno liberi solo condizionatamente e rischiano di tornare in cella al primo segno di dissenso.
Yangon (AsiaNews) - La giunta militare del Myanmar ieri ha concesso l’amnistia a più di 3.000 prigionieri politici e ha ritirato le accuse contro altre 5.500 persone che erano state incriminate per aver diffuso commenti critici nei confronti del regime birmano. Il rilascio di circa 200 detenuti è avvenuto ieri presso la famigerata prigione di Insein a Yangon: almeno otto autobus di detenuti sono stati accolti da amici e parenti che aspettavano dall’alba e diverse foto sono state poi diffuse online.
Non si tratta però di un gesto benevolo o un tentativo di riconciliazione: l’emittente statale MRTV ha spiegato che l’amnistia è stata concessa “per garantire che tutti gli elettori aventi diritto possano votare liberamente e in modo equo alle prossime elezioni generali democratiche multipartitiche”. Enti internazionali e organizzazioni umanitarie hanno più volte sottolineato che in realtà si tratta di elezioni farsa perché la giunta militare non ha il controllo di tutto il territorio (in diverse parti del Paese l’esercito si sta ancora scontrando con le milizie che compongono la resistenza) e la partecipazione delle opposizioni non è mai stata contemplata. Decine di partiti politici, tra cui la Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi (che a 80 anni resta ancora in carcere, ma nella capitale dei militari, Naypyidaw) erano già stati sciolti nel 2023. Dopo l’annuncio delle elezioni, che si terranno in diverse fasi a partire dal 28 dicembre, la giunta ha intensificato gli attacchi contro la resistenza e ha predisposto nuove leggi che criminalizzano le attività che intralciano il processo elettorale.
Ieri, nello specifico, il Consiglio nazionale di difesa e sicurezza ha autorizzato il rilascio di 3.085 prigionieri condannati ai sensi della sezione 505(a) del codice penale, che punisce la diffusione di “informazioni false” o di commenti che “generano paura tra la popolazione”. Si tratta di una normativa che è stata ampiamente utilizzata contro tutti coloro che hanno criticato il regime a partire dal colpo di Stato del 2021. Secondo l’Associazione di assistenza per i prigionieri politici, negli ultimi quattro anni sono state arrestate 30.031 persone, di cui 22.708 sono ancora in detenzione.
L’amnistia di ieri va quindi letta come un messaggio di minaccia alla popolazione civile: votate o vi attende il carcere. Si tratta di una posizione molto difficile da sostenere per i cittadini birmani: molti infatti si rifiutano di sostenere la giunta ma sentono di non avere alternative.
Le elezioni, soprattutto se avranno un’ampia affluenza, servono al regime di Naypyidaw per consolidare il proprio governo e normalizzare le relazioni con gli altri Paesi. La Cina, sostenitrice della giunta golpista, ha da tempo espresso il proprio sostegno al processo elettorale, e diversi altri Stati della regione interessati a fare affari in Myanmar, tra cui l’India, hanno proposto di inviare osservatori internazionali.
Non è nemmeno la prima volta che il regime militare concede ampie amnistie, di solito in occasione di importanti feste buddhiste, per consolidare il proprio potere: a gennaio erano stati rilasciati quasi 6mila detenuti, ma solo circa 600 erano prigionieri politici. Anche questa volta in realtà, a 724 prigionieri dei 3.085 rilasciati ieri è stata esplicitamente concessa la libertà condizionata. Significa che in caso di nuove infrazioni saranno riportati in carcere, dove “dovranno scontare la nuova pena insieme a quella residua”. Anche in questo caso, non sarebbe la prima volta che i generali riportano in cella i detenuti dopo averli rilasciati.



