26/02/2021, 14.08
MYANMAR
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Yangon, lo sciopero degli impiegati statali mette in crisi la giunta militare (FOTO)

di Francis Khoo Thwe

Sciopera ormai tutta la società civile: medici, personale sanitario, insegnanti, studenti, impiegati di banca, impiegati di ditte private, ferrovieri, portuali. Secondo l’inviato speciale dell’Onu in Myanmar, tre quarti degli impiegati statali sono in sciopero. Rischio fallimento per la giunta per un possibile crollo economico. Arresti notturni e raid contro dimostranti. Suore cattoliche e monaci buddisti a sostengo dei manifestanti. Arrestato un giornalista giapponese. Ministro indonesiano: Rispettare i desideri del popolo del Myanmar.

Yangon (AsiaNews) – Rischiano il licenziamento, la prigione o solo il salario, ma continuano a scioperare. Sono gli impiegati statali che hanno deciso di scioperare per mostrare la loro opposizione al colpo di Stato ad opera della giunta militare. Dal primo febbraio, quando la giunta ha preso il potere e arrestato i leader democratici, hanno cominciato i medici e il personale sanitario; poi si sono aggiunti gli insegnanti e gli studenti; poi ancora gli impiegati di banca; e poi ancora gli impiegati delle ditte private, i ferrovieri, i portuali. Al presente molti ospedali sono deserti, i treni fermi alle stazioni e molti uffici governativi rimangono chiusi.

Lo stesso gen. Min Aung Hlaing, a capo della nuova giunta, minacciando il personale sanitario, ha ammesso che due terzi degli ospedali non funzionano. Secondo l’inviato speciale dell’Onu in Myanmar, tre quarti degli impiegati statali sono in sciopero; un canale d’inchiesta locale afferma che lo sciopero riguarda tutti i 24 ministeri del nuovo governo.

Oltre alla mancanza di servizi per la popolazione, lo sciopero crea ritardi nei pagamenti, nelle transazioni, nella produzione, nei rapporti con l’estero, spingendo il Paese verso un crollo economico, essendo già provato dalle conseguenze del Covid-19.

La paralisi della macchina dello Stato fa crescere l’inquietudine dei generali che ogni giorno sui media statali pubblicano messaggi di avvertimento per gli impiegati statali di tornare al lavoro se vogliono evitare azioni legali.

Per spezzare la resistenza, ogni notte vi sono quartieri che subiscono i raid delle forze dell’ordine, con mandato di arresto per i leader democratici e i capi delle dimostrazioni. Fino ad ora sono state arrestate e imprigionate circa 600 persone.

In passato, nelle manifestazioni del 1988 la resistenza era soprattutto concentrata nelle università; nel 2007 nei monasteri buddisti. A differenza di quanto successo allora, la resistenza alla giunta è più globale e abbraccia tutti i settori della società.

La notte scorsa, verso le 3, la polizia è intervenuta in un quartiere di Yangon per arrestare alcuni giovani. La gente ha cercato di fermarli e perfino alcune suore hanno discusso coi soldati, chiedendo loro di “non fare del male a nessuno, di ascoltare la voce del popolo, di avere compassione e lavorare per la verità”.

Stamane, sempre nella capitale economica del Paese, almeno 50 poliziotti in tenuta anti-sommossa, con scudi e bastoni, hanno dissolto un gruppo di circa 1000 dimostranti vicino ad un centro commerciale. La polizia ha anche sparato in aria alcuni colpi di intimidazione, mentre il gruppo gridava slogan contro la dittatura e cantava dei canti. Almeno due persone sono state arrestate. Uno di loro è un giornalista giapponese, Yuki Kitazumi. La polizia nega di averlo picchiato e ha assicurato che lo rilascerà dopo che egli firmerà alcune dichiarazioni.

Manifestazioni si sono tenute anche a Mandalay, la seconda città del Myanmar, con monache buddiste che portavano cartelli con le scritte “Preghiamo per il Myanmar”, o “Rifiutiamo il colpo di Stato militare”.

Un gruppo buddista ha tenuto un incontro di preghiera a Yangon, davanti alla casa di Aung San Suu Kyi, che dal giorno del putsch si trova agli arresti domiciliari a Naypyidaw.

Intanto si moltiplicano i contatti fra i Paesi dell’Asean (Associazione delle nazioni del sudest asiatico), di cui fa parte anche il Myanmar. Nei giorni scorsi, i loro leader sono passati dal silenzio, al non voler intromettersi “negli affari interni di un altro Paese”, fino a suggerire nuove elezioni, secondo il piano della giunta. La stasi economica che il Myanmar sta rischiando a causa degli scioperi degli impiegati statali, spinge questi Paesi a tentare nuovi approcci. È di oggi una dichiarazione del ministro indonesiano degli Esteri, Retno Marsudi a Reuters, in cui ella sottolinea che “la transizione verso una democrazia inclusiva deve essere perseguita secondo i desideri del popolo del Myanmar”. In precedenza, Reuters aveva attribuito alla Retno l’idea che la “democrazia inclusiva” implicasse l’attuazione di nuove elezioni, cancellando di fatto la vittoria del partito di Aung San Suu Kyi alle scorse elezioni di novembre.

Nelle parole di Retno Marsudi si percepisce un distanziamento dalla giunta: “L’Indonesia – ha aggiunto – è molto preoccupata per la situazione in Myanmar e sostiene il popolo del Myanmar. Il benessere e la sicurezza del popolo del Myanmar è la prima priorità”.

Myanmar coup protests continue
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