26/05/2025, 13.03
MALAYSIA
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‘Manca il consenso’: tribunale cancella una conversione all’islam

di Joseph Masilamany

La Corte di Appello conferma una precedente decisione dell’Alta corte. Per i giudici il caso presenta vizi di procedura e non riguarda questioni di fede. La donna non è mai stata musulmana, perché il cambio di religione risulta da un atto unilaterale della madre quando era bambina, senza il consenso del padre indù.

 

Kuala Lumpur (AsiaNews) - Una donna malaysiana convertita senza esplicito consenso, e in modo unilaterale, all’islam dalla madre quando era bambina non è mai stata realmente musulmana secondo la legge del Paese. È quanto ha stabilito una sentenza emessa all’unanimità nei giorni scorsi dalla Corte di Appello, che ha confermato un precedente verdetto dell’Alta Corte il quale aveva dichiarato lo status religioso “non valido” sin dall’inizio e mantenuto la fede nativa nella religione indù.

Il collegio di tre giudici, guidato dal magistrato Azimah Omar, ha confermato la sentenza del 2023 che dichiarava illegale la conversione perché mancava il consenso di entrambi i genitori, come richiesto dalla legge islamica dello Stato. Nella sentenza il presidente della Corte ha sottolineato che “non vi è stato alcun errore impugnabile da parte dell’Alta Corte” che potesse giustificare un “intervento”.

La donna, ora 28enne, risultava essersi convertita all’età di sette anni, quando sua madre l’aveva registrata come musulmana senza il consenso del padre indù. Il tribunale ha dunque ravvisato una violazione della Sezione 117(b) del Selangor Islamic Religious Enactment 2003, la quale prevede che “entrambi i genitori” debbano acconsentire alla conversione religiosa di un minore.

“Né la madre, né la donna avevano la capacità di effettuare la conversione” ha affermato il giudice Azimah. Sul banco degli imputati sedevano anche i giudici Noorin Badaruddin e Firuz Jaffril. Il Consiglio religioso islamico di Selangor (Mais) ha sostenuto che il caso dovrebbe essere gestito dal tribunale della sharia [la legge islamica] come una questione di rinuncia. Tuttavia, la Corte di Appello ha respinto questa opinione, affermando che il caso riguardava la legalità procedurale, non la fede personale della donna.

“Questo non ha nulla a che fare con la dimensione della sua fede” ha detto Azimah. “Un non-musulmano non ha bisogno di una dichiarazione del tribunale della sharia per affermare di essere non-musulmano”. L’Alta Corte aveva in precedenza accolto la richiesta della donna, dichiarando che era sempre stata indù e che la sua conversione all’islam da parte della madre era “nulla ab initio”, cioè invalida fin dall'inizio.

Il giudice Azimah ha quindi aggiunto che alla donna non dovrebbe essere richiesto di provare lo status della sua fede in un tribunale religioso, sottolineando che i tribunali civili hanno la giurisdizione per determinare la validità delle conversioni illegali e unilaterali. Il team legale della donna, Rajesh Nagarajan e Nur Azyan Azimi, ha presentato la citazione originaria presso l’Alta Corte di Klang lo scorso anno. Gli avvocati del Consiglio di Selangor, Ahmad Kamal Abu Bakar e Arik Zakri Abdul Kadir, hanno chiesto di escludere la causa per motivi di giurisdizione. Secondo i documenti del tribunale, la donna è nata indù da due genitori induisti che si sono sposati nel 1982. La coppia si è separata nel 1999 e la donna e le sue due sorelle sono state affidate alla custodia della madre. 

Ad oggi il loro status religioso non è chiaro. Nel 2004, la madre si è registrata come musulmana per sposare un uomo musulmano e ha convertito la figlia che all’epoca aveva sette anni attraverso la filiale del Consiglio islamico di Klang. Quasi 20 anni più tardi, la donna ha impugnato la conversione in un tribunale civile, facendo valere il suo diritto costituzionale alla libertà di religione e alla discendenza familiare. La decisione della Corte di Appello segna dunque un’altra sentenza significativa nel dibattito in corso in Malaysia sulle conversioni religiose che coinvolgono i minori e sulle controversie di custodia fra coniugi di fede religiosa diversa.

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