25/04/2016, 11.32
NEPAL
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A un anno dal sisma, migliaia di sopravvissuti hanno come riparo tende o rami d’albero

di Christopher Sharma

Troppo lente le operazioni di ricostruzione. La gente sopravvive nella fame e nel freddo. Chi può, richiede un prestito, con alti interessi, per ricostruire le case. Le divisioni politiche e i privilegi dei quadri del Partito vengono prima di tutto. Il blocco e la vigilanza sulle ong per evitare "proselitismi".

Kathmandu (AsiaNews) - A un anno esatto dal terremoto, tutta la nazione ricorda le 8961 vittime, ma pochi si prendono cura delle migliaia di sfollati che ancora adesso non hanno una casa o un tetto dove vivere.

Il potente terremoto di magnitudo 7.9 ha distrutto le abitazioni di alcuni milioni di persone, ma ha fatto danni ad almeno altri otto milioni di persone. Ancora oggi in migliaia lavorano e soffrono per un po’ di cibo e un tetto dove ripararsi.

A suo tempo il governo aveva domandato alla comunità internazionale di sostenere le operazioni di salvataggio e la distribuzione di beni di prima necessità, ma ora non permette ad alcuna organizzazione di dare un contributo volontario senza il consenso delle autorità. La maggior parte delle vittime vive ancora con il cibo e le cose che le sono state date dalle organizzazioni caritative.

Intanto, l’ufficio per la ricostruzione, formato dal governo per lavorare dopo il terremoto, non si è ancora mosso per incontrare la gente e per raccogliere dati sulla loro situazione e i loro bisogni.

Rajani Gurung ha perso suo marito e sopravvive con i suoi tre figli a Barpak, nel distretto di Gorkha (dove è stato l’epicentro del sisma). La sua “casa” è un albero: “Io e i miei tre figli – ci dice – viviamo sotto un albero come rifugio temporaneo. Prima vivevo propri all’aperto, nei campi, ma il governo ce lo ha proibito. Io non ho alcun pezzo di terra, per cui mi tocca vivere qui”. E aggiunge: “Ho sentito che il governo offre prestiti facili per la ricostruzione, ma come si fa a credergli? Abbiamo vissuto da miserabili per tutto l’inverno e la stagione delle piogge”. E piangendo spiega: “ Lo scorso inverno c’era una pioggia intensa e neve. Il tetto provvisorio del mio riparo è volato via col vento. E così siamo sopravvissuti stando sotto questo albero e questi rami. Per giorni non avevamo alcun cibo; i miei figli piangevano… Io non ho soldi per costruire una casa nuova, così devo aspettare la risposta del governo, ma non ho tanta speranza”.

Salina Tamang, 26 anni, madre di due figli, del distretto di Sindhupalchowk racconta: “Mio marito è in Arabia saudita come lavoratore migrante. Per un anno io e il mio figlioletto, quasi appena nato, abbiamo vissuto sotto una tenda. Il governo per ora ha dato 25mila rupie: 15mila per costruire un alloggio temporaneo, 10mila per acquistare vestiti pensanti durante l’inverno. Ma quei soldi non sono nulla. Il mio figlio più grande ha smesso di andare a scuola perché io non ho i soldi per pagare la retta mensile. Mio marito lavora molto forte, ma ha una paga molto bassa e non riesce a risparmiare soldi ancora”. E aggiunge: “ Ho ricevuto del cibo e dei vestiti da alcune  organizzazioni caritative ed è così che ci stiamo nutrendo. La Caritas Nepal mi ha dato cibo e perfino una tenda”. Le critiche verso il governo arrivano subito: “I leader politici ci danno solo false assicurazioni e quando c’è qualcosa da distribuire, essi cominciano scegliendo anzitutto i loro quadri. Quando i quadri e i responsabili locali ne hanno abbastanza, allora viene il nostro turno… Abbiamo vissuto così per un anno intero; ora speriamo che il governo ci aiuti a costruire le case prima che arrivi il nuovo monsone”.

“Diciamo che il governo non era per nulla preparato al disastro. E temo che esso non sia capace di affrontare nessuna prospettiva. Forse questo dipende dalle divisioni e dalle polarizzazioni politiche: è l’opinione di Rameshwor Dangal, responsabile della Divisione dei Disastri al Ministero degli interni. Egli ricorda che con il sisma di un anno fa si sono avute anche oltre 30mila scosse di assestamento, delle quali, 448 erano oltre la magnitudo 4. Il capo ufficio, Lok Bijaya Adhikari, fa notare che ad essere colpite – in modo parziale o totale - sono state oltre un milione di case, con un danno calcolato dal governo per 7 miliardi di dollari Usa.

Chi può trovare in qualche modo un prestito, non attende il sostegno del governo. Krishna Prasad Pandey, un sopravvissuto di Bidur-1, del distretto di Nuwakot, afferma di aver richiesto un prestito alla Nepal Bank Limited. “Siamo stati per un anno intero in una capanna. Non possiamo più aspettare!”.

Di per sé, l’Autorità per la ricostruzione nazionale (National Reconstruction Authority, Nra) ha aperto un ufficio nel distretto, ma il lavoro tarda a fervere, a causa della mancanza di personale. Per Radhika Ghale, di Bidhur-3, la Nra non mostra alcuna efficienza.

Sabita Thapa, un’altra sopravvissuta, ha richiesto un prestito per costruire la sua casa. Ma dice che non ci sono prestiti facili: “Sebbene il governo abbia annunciato prestiti facili, noi siamo stati costretti a pagare un alto tasso di interessi (il 10%)”.

Sushil Gyanwali, capo della Nra, spiega: “Le divisioni politiche e i ritardi non ci hanno permesso di affrettare il nostro lavoro. Ma adesso ci stiamo muovendo bene e presto potremo portare il nostro sostegno a tutte le vittime”.

Sul bando verso le organizzazioni caritative, Gyanwali dice: “Non abbiamo bandito nessuno; piuttosto vogliamo un chiaro impegno da parte delle ong e delle organizzazioni caritative. Loro non sono liberi di andare in qualunque area e lavorare. Noi chiediamo loro di ricevere la nostra approvazione sui loro obbiettivi espressi con chiarezza, sotto la nostra vigilanza e supervisione”.

E aggiunge: “Abbiamo preso questa decisione, dato che molti indù criticavano le organizzazioni caritative cristiane, che secondo loro convertono la gente in cambio di aiuti. Fino ad ora sei ong hanno ottenuto il permesso di lavorare”.

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