14/09/2005, 00.00
PAKISTAN
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Arcivescovo di Lahore contro l'ennesimo arresto di un cristiano per blasfemia

di Qaiser Felix

Younis Masih è in carcere da domenica, accusato di aver offeso Maometto durante alcuni canti tradizionali. Mons. Saldanha: questi episodi ostacolano gli sforzi verso il dialogo interreligioso.

Lahore (AsiaNews) – Dura condanna all'ultimo arresto di un cristiano in Pakistan per blasfemia e ennesima richiesta di abrogare "questa legge discriminatoria" arrivano dall'arcivescovo di Lahore, mons. Lawrence Saldanha. Il presule, in un'intervista ad AsiaNews, commenta l'arresto di Younis Masih, come un episodio "controproducente per il Pakistan stesso, perché aggrava la cattiva reputazione del paese e danneggia gli sforzi verso comprensione, armonia e dialogo interreligioso". 

Younis Masih, 40 anni, è stato arrestato dalla polizia il 10 settembre scorso. L'uomo avrebbe usato termini dispregiativi verso il profeta Maometto durante dei canti qawali (stile musicale in cui si ripetono versi sui profeti e i santi dell'Islam); i canti, arrangiati da un altro cristiano, si erano svolti la notte del giorno precedente nella zona di Chungi Amer Sidhu, Lahore. Younis è stato picchiato prima da una folla di cristiani locali che pretendevano si scusasse e poi da un gruppo di musulmani offesi.

La notte del 10 settembre circa 200 uomini armati di bastoni hanno circondato il comando di polizia locale domandando l'apertura di un caso di blasfemia contro Younis; la folla minacciava di non muoversi prima di avere ottenuto ciò che chiedeva. Un gruppo di musulmani, inoltre, ha danneggiato l'abitazione dell'uomo e picchiato sua moglie. Il giorno successivo 50 famiglie cristiane hanno lasciato la zona per paura di rappresaglie e attacchi da parte degli estremisti.

Secondo le forze dell'ordine, la vita di Younis era in pericolo anche se l'uomo si trovava nella stazione di polizia. Dopo la sua confessione è stato trasferito nel carcere di Kot Lakhpat.

La legge sulla blasfemia corrisponde agli articoli 295 b e c del Codice penale pakistano. Il primo riguarda le offese al Corano, punibili con l'ergastolo, mentre il secondo stabilisce la morte o il carcere a vita per diffamazioni contro il profeta Maometto. Nel 2004 il governo aveva apportato emendamenti, ma solo superficiali.

Secondo mons. Saldanha "modificare la legge sulla blasfemia non serve, gli estremisti continuano a usarla per i loro fini personalistici cercando di punire i presunti responsabili arrestati senza prove o indagini". "Questa legge - continua il vescovo - crea un senso di paura e insicurezza tra le minoranze e la Chiesa ne chiede la completa abrogazione".

Della stessa opinione anche la All Pakistan Minorities Alliance (Apma), la Commissione nazionale di Giustizia e Pace e altri gruppi della società civile.

Shabbaz Bhatti, presidente dell'Apma, ha chiesto al Governo di formare una Commissione giudiziaria per investigare sul caso, "aperto senza nessuna prova contro Younis". Inoltre Bhatti sottolinea che nessuno tra gli aggressori dell'abitazione dell'uomo è stato arrestato. Come ha già fatto numerose volte, egli continua a denunciare gli "abusi di questa legge", che in Pakistan colpisce non solo le minoranze, ma anche gli stessi musulmani. "Quello di blasfemia è un concetto vago – spiega l'attivista per i diritti umani – e questa legge è usata per sistemare sia dispute private, che inimicizie interreligiose".

Il più delle volte gli accusati per blasfemia e le loro famiglie rischiano la morte per mano degli estremisti decisi a farsi giustizia da soli.
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