15/04/2020, 11.53
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Braccio di ferro Guterres -Trump sull’Oms ‘troppo cinese’

di Bernardo Cervellera

Il presidente Usa minaccia di tagliare i fondi all’organismo Onu sulla salute. Il segretario Onu ha detto che “non è il momento” per ridurre le risorse nella lotta contro il coronavirus. Al di là di letture ideologiche, l’Oms ha seguito passo passo le indicazioni della Cina nel tacere sul coronavirus, sulla trasmissione da uomo a uomo, sul ritardare l’allarme pandemia, sul soffocare l’aiuto di Taiwan. Il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus è il primo ad aver politicizzato il problema della salute.

Roma (AsiaNews) - Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres ha difeso l’Organizzazione mondiale della sanità di fronte al presidente Usa Donald Trump, che ha annunciato di voler tagliare i fondi all’Oms per aver fallito la gestione nella pandemia da Covid-19. L’accusa che viene anche da molte parti, non solo dagli Usa, è che l’Oms è succube della Cina.

Ieri, in un incontro con i giornalisti, Trump ha accusato l’Oms di aver “severamente gestito male e aver nascosto la diffusione del coronavirus”.

Allo scoppio della pandemia, l’Oms ha chiesto di non chiudere le frontiere con la Cina. Seguendo tali indicazioni, ha detto Trump, “altre nazioni e regioni hanno accelerato la pandemia nel mondo”. In più, “l’Oms non ha preso in considerazione rapporti credibili da fonti di Wuhan, che erano opposti in modo diretto ai rapporti ufficiali del governo cinese”.

Per queste ragioni, il presidente Usa ha detto di voler tagliare i fondi che ogni anno gli Stati Uniti versano all’Oms. Lo scorso anno Washington ha versato 400 milioni di dollari, quasi il 15% del budget dell’organismo Onu per la salute.

Non è chiaro se Trump potrà agire in modo diretto: di per sé i contributi all’Oms hanno bisogno di un’approvazione del Congresso.

Da parte sua, Guterres, in una dichiarazione scritta, ha sottolineato che la crisi che il mondo sta vivendo ha bisogno del sostegno di tutti. Egli ha ammesso che vi possono essere “differenti interpretazioni” nell’operato dell’organismo. “Non appena avremo voltato pagina su questa epidemia, ci sarà tempo per guardare indietro, per capire in pieno come questa malattia è emersa e come ha diffuso così velocemente la sua devastazione attorno al globo, e come hanno reagito alla crisi coloro che erano coinvolti”. Ma questo, ha detto “non è il momento” per ridurre le risorse nella lotta contro il coronavirus.

Per diversi analisti, le parole di Trump sono dettate dalla frustrazione: in poco tempo, gli Stati Uniti sono divenuti il Paese col maggior numero di vittime da coronavirus, con 25mila morti e 600mila casi positivi. Nel mondo la pandemia ha ucciso finora più di 125mila persone e infettato quasi 2 milioni di individui.

In più, la pandemia è stata politicizzata come uno scontro fra il “modello cinese” e il “modello Usa”, o più in generale “occidentale”. Quello “cinese”, elogiato dall’Oms, sembra aver avuto successo sull’epidemia, arrivando a poco più di 83mila infetti e a 3300 morti. Da questo punto di vista, Trump starebbe cercando di colpire la Cina per mantenere la supremazia Usa nel mondo.

Ma al di là di queste letture ideologiche, rimangono alcuni fatti che mostrano la troppa dipendenza dell’Oms da Pechino.

Anzitutto, l’epidemia scoperta già nel dicembre 2019 e denunciata da diversi dottori a Wuhan, non è stata presa in considerazione dall’Oms, che ha seguito il governo cinese, il quale ha soffocato le denunce e ha rassicurato il mondo che non c’era nulla da temere.

Alla fine di dicembre, personalità di Taiwan hanno messo in guardia l’Oms sulla presenza di trasmissione da uomo a uomo dell’epidemia di coronavirus. Ma siccome Taiwan non è riconosciuta come membro dell’organismo, perché ufficialmente parte della Cina, la sua voce non è stata presa in considerazione. Fino al 14 gennaio l’Oms ha mantenuto la stessa posizione di Pechino: non vi sono segni di trasmissione del virus da uomo a uomo.

Il 22 gennaio, mentre si registrano malati di coronavirus in Corea del Sud, Giappone e Thailandia, l’Oms rifiuta di dare un’allerta mondiale. Il 23 gennaio, Pechino mette in stretta quarantena Wuhan e l’Hubei.

Il 4 febbraio, quando già l’Italia e gli Usa avevano chiuso i voli da e per la Cina, il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, critica la decisione perché ciò può avere “l’effetto di aumentare la paura e lo stigma, con pochi benefici per la salute del pubblico”.

Il 26 febbraio, Tedros era ancora dubbioso se dichiarare una pandemia mondiale. Secondo lui “non c’è un rischio significativo [e si rischia] di amplificare in modo non necessario e ingiustificato la paura e lo stigma, paralizzando i sistemi. Questo potrebbe segnalare che non siamo più capaci di contenere il virus, ciò che non è vero”.

Solo l’11 marzo l’Oms ha dichiarato la pandemia. A quel punto vi erano già 114 Paesi coinvolti.

Altri elementi che mostrano la “dipendenza” dalla Cina dell’organismo Onu sono due: anzitutto quello di voler togliere ogni indicazione geografica o etnica dalla malattia, per cui rimane criticabile definire il virus “di Wuhan” o “polmonite cinese”.  L’altro è il modo in cui un membro dell’Oms, Bruce Aylward, ha rifiutato di commentare il “modello Taiwan” sulla vittoria contro il virus, dopo la domanda posta da una redattrice di Hong Kong.

Di fronte alle critiche di Trump, Tedros ha spesso chiesto che non venga “politicizzata” l’opera dell’Oms. Il problema è che il primo a politicizzarla è stato proprio lui e i suoi collaboratori.

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