15/12/2020, 09.05
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Cina prima al mondo per giornalisti in prigione

Sono 117 su 387 secondo Reporter senza frontiere. Prime cinque posizioni occupate da Paesi asiatici e del Medio oriente. Arresti in crescita dopo lo scoppio della pandemia. La maggior parte dei cronisti cinesi imprigionati è di origine uigura. Nel mirino reporter cinesi indipendenti, stranieri e quelli attivi a Hong Kong.

Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – Il governo cinese è quello che quest’anno ha imprigionato più giornalisti. Secondo dati pubblicati ieri da Reporter senza frontiere (Rsf), su 387 cronisti detenuti in tutto il mondo, 117 si trovano in Cina; seguono Arabia Saudita (34), Egitto (30), Vietnam (28) e Siria (27). Per i ricercatori, il peggioramento della situazione in questi e altri Paesi è dovuto all’adozione di leggi d’emergenza contro la pandemia che hanno ristretto in modo ulteriore la libertà di stampa. 

Un altro studio, reso pubblico oggi dal Comitato per la protezione dei giornalisti di New York, rivela che la maggior parte degli arresti in Cina è avvenuta nello Xinjiang; riguarda giornalisti di origine uigura, popolazione turcofona di fede musulmana vessata in modo sistematico dalle autorità. 

La scorsa settimana, la polizia cinese ha arrestato la giornalista di Bloomberg Haze Fan: è accusata di aver compiuto “attività criminali” che minacciano la sicurezza nazionale del Paese. Da maggio la giornalista indipendente Zhang Zhan è detenuta in un carcere di Shanghai. Rischia cinque anni di carcere per aver raccontato l’emergenza Covid-19 a Wuhan (Hubei), epicentro della pandemia. Il suo avvocato ha denunciato torture nei suoi confronti.

Altri tre reporter erano spariti nella capitale dell’Hubei in febbraio. Li Zehua, che aveva parlato dei forni crematori cittadini aperti 19 ore al giorno, è riapparso il 22 aprile dopo un periodo agli arresti. Chen Qiushi si trova sotto la “supervisione” delle autorità. Di Fang Bin non si hanno invece ancora notizie.

Lo scontro tra Pechino e Washington ha creato problemi anche per i giornalisti stranieri. I cinesi hanno espulso a marzo i corrispondenti di tre grandi quotidiani Usa: una risposta alla decisione dell’amministrazione Trump di considerare alcuni media cinesi che operano negli Stati Uniti come “missioni straniere”, al pari di quelle diplomatiche.

Cheng Lei, conduttrice australiana che lavora per la tv cinese di Stato Cgtn, è stata fermata il 14 agosto. Da allora la donna si trova “sotto sorveglianza in una residenza designata”. In settembre due giornalisti australiani sono fuggiti dalla Cina dopo che la polizia ha tentato di interrogarli. Negli stessi giorni, una giornalista del Los Angeles Times era stata arrestata e poi espulsa dalla Mongolia interna mentre seguiva  le proteste che stavano scuotendo la regione settentrionale cinese.

Ci sono poi gli effetti della nuova legge sulla sicurezza a Hong Kong. Il proprietario dell’Apple Daily – e attivista democratico – Jimmy Lai potrebbe finire all’ergastolo in base al provvedimento voluto dalla leadership cinese. In novembre è stato arrestato Wan Yiu-sing (meglio conosciuto come “Giggs”), giornalista di una radio online; in precedenza la polizia aveva arrestato una produttrice di Rthk. Bao Choy ha indagato sui “disordini” di Yuen Long, avvenuti lo scorso anno nel pieno delle dimostrazioni contro la legge sull’estradizione.

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