13/10/2016, 08.59
YEMEN - A. SAUDITA - USA
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Gli Stati Uniti colpiscono postazioni radar dei ribelli Houthi in Yemen

L’attacco è una risposta al lancio di missili contro un cacciatorpediniere Usa. I razzi sarebbero partiti dai territori controllati dai ribelli. Portavoce del Pentagono: Azioni “di carattere difensivo” per proteggere gli interessi marittimi americani. Leader Houthi smentisce: Nessun attacco verso navi da guerra. 

 

Sana’a (AsiaNews/Agenzie) - L’esercito statunitense ha colpito postazioni radar in Yemen, dopo che una nave da guerra americana di stanza nel mar Rosso è stata oggetto - per la seconda volta in pochi giorni - di un attacco missilistico. Secondo quanto riferisce il Pentagono, sono stati distrutti tre siti radar che sarebbero coinvolti nei recenti lanci missilistici; le postazioni erano localizzate nei territori controllati dai ribelli sciiti Houthi ed è stato lo stesso presidente Barack Obama ad autorizzare l’operazione. 

Commentando la vicenda, un portavoce degli Houthi ha dichiarato all’agenzia Saba che non vi è stato alcun attacco verso navi da guerra.

Fonti ufficiali della marina americana spiegano che l’attacco Usa è partito dal cacciatorpediniere USS Nitze e sono stati utilizzati missili da crociera Tomahawk.

Peter Cook, portavoce del Pentagono, parla di “attacchi di carattere difensivo” lanciati con il solo scopo di “proteggere il nostro personale, la nostra nave e la nostra libertà di navigazione in questo importante snodo marittimo”. “Gli Stati Uniti - ha aggiunto - risponderanno in modo appropriato a ogni nuova minaccia futura alle nostre navi e al commercio marittimo”. 

Il 9 ottobre scorso dal porto di Al-Hudaydah sul mar Rosso, controllato dai ribelli sciiti legati a Teheran, sono partiti due missili in direzione della USS Mason, un cacciatorpediniere lanciamissili che navigava al largo della costa; i razzi sono caduti in acqua prima di centrare l’obiettivo e non hanno provocato danni, né feriti. Un attacco simile si è verificato anche ieri e ha innescato la reazione della marina statunitense. 

Dal gennaio 2015 la nazione del Golfo è teatro di un sanguinoso conflitto interno che vede opposte la leadership sunnita dell’ex presidente Hadi, sostenuta da Riyadh, e i ribelli sciiti Houthi, vicini all’Iran. Nel marzo 2015 una coalizione araba a guida saudita ha promosso raid contri i ribelli, finiti nel mirino delle Nazioni Unite per le vittime, anche bambini. Ad oggi sono morte circa 10mila persone, di cui circa 4125 civili. Almeno 2,5 milioni gli sfollati del conflitto. 

La coalizione saudita - finita al centro di una indagine internazionale indipendente, secondo cui “un terzo” degli attacchi aerei avrebbe colpito obiettivi civili - ha ricevuto a lungo il sostegno logistico e di intelligence degli Stati Uniti. Tuttavia, negli ultimi tempi il legame si è raffreddato (almeno secondo i canali ufficiali) proprio a causa dell’alto numero di vittime civili.

L’ultimo caso riguarda il raid aereo contro la veglia funebre del padre di un alto ufficiale Houthi; nell’attacco - condannato con forza anche dalle Nazioni Unite - sono morte oltre 140 persone. Riyadh finora non ha ammesso in via ufficiale una responsabilità diretta nella vicenda, sulla quale ha però aperto un’indagine interna e si è offerta di garantire cure mediche ai feriti.

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