13/04/2010, 00.00
THAILANDIA
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Il sistema socio-politico, chiave di volta della crisi politica in Thailandia

La scontro fra governo e oppositori non è solo una lotta fra ricchi e poveri, ma riguarda due visioni diverse della società. Missionario del Pime: le “camicie rosse” hanno unito i movimenti antigovernativi e Thaksin “manovra dietro le quinte” per tornare al potere. Il 90% della popolazione vuole la pace e teme ripercussioni sull’economia e il turismo.
Bangkok (AsiaNews) – La crisi che la Thailandia attraversa non è solo uno scontro fra fazioni politiche avverse, fra ricchi e poveri, fra la capitale Bangkok e le aree rurali, ma riguarda “due modi diversi di pensare la società thai”, che in un futuro toccheranno anche il “sistema socio-politico” del Paese. Le maggiori perdite, al momento, si registrano nell’economia con un brusco calo degli indici di borsa e flessioni nel settore del turismo, mentre la popolazione celebra in tono minore il Songkran festival (il capodanno thai) in programma dal 12 al 15 aprile.
 
Il partito di opposizione United Front for Democracy against Dictatorship (UDD) ha respinto l’offerta del governo di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni entro sei mesi. I leader delle “camicie rosse” – sostenitori dell’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra – spiegano di non avere “altre iniziative” in programma per i prossimi giorni, ma intendono presidiare le zone della capitale sotto il loro controllo. Le rivendicazioni dell’opposizione trovano una sponda nell’esercito. Ieri il generale Anupong Paojinda, comandante delle forze armate, ha affermato che la sola soluzione per uscire dalla crisi è “lo scioglimento del Parlamento”. Egli esclude l’uso della forza dei militari, ma chiede risposte “politiche” alla classe dirigente.
 
Sul versante governativo, intanto, Abhisit Vejjajiva esclude l’ipotesi di dimissioni e bolla come “terroristi” i manifestanti che hanno “attaccato” le forze di sicurezza il 10 aprile scorso, provocando una ventina di morti e oltre 800 feriti. Il premier aggiunge di voler distinguere fra gli elementi che hanno creato disordini e quanti protestano in modo pacifico.
 
P. Raffaele Manenti, missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime) da 16 anni in Thailandia, spiega ad AsiaNews che il conflitto di oggi “affonda le radici nel passato e ora emerge in tutta la sua forza”. Le “camicie rosse” sono fedeli all’ex premier Thaksin perché “aveva preso iniziative favorevoli alla popolazione”, a dispetto di altri governi – tra cui l’attuale di Abhisit – che hanno guardato solo alla classe dirigente del Paese, concentrata a Bangkok.
 
Un altro elemento di scontento è legato al fatto che l’attuale esecutivo “non è stato eletto dal popolo”. I “rossi”, sottolinea p. Manenti, hanno unificato “i vari movimenti di opposizione” e quanti erano “legati a suo tempo a Thaksin, che manovra dietro le quinte per tornare al potere”. La popolazione delle campagne chiede maggiori attenzioni e risorse al governo, che “rischia una grave crisi nel lungo periodo”. Il crollo del turismo – motore trainante del Paese – in un periodo chiave dell’anno, il Songkran festival, può determinare pesanti ripercussioni sull’economia nazionale.
 
Una fonte di AsiaNews, esperta di politica, sottolinea che “oggi siamo di fronte a due modi diversi di pensare la società thai”. Alla lotta delle “camicie rosse” si sono uniti anche intellettuali, neo-laureati e professionisti “che sostengono la loro causa”. “Siamo davanti a una rivoluzione sociale – aggiunge la fonte a Bangkok, che chiede l’anonimato – i cui risultati non sono immaginabili. L’elemento chiave, oltre all’economia, ruota attorno al ‘sistema socio-politico’ attuale e ai cambiamenti futuri, anche se nessuno ne parla in maniera esplicita perché tocca nel profondo la cultura e le tradizioni thai”.
 
In passato sono emerse voci secondo cui la cacciata di Thaksin era legata al tentativo di mettere mano alla Costituzione e, in seconda battuta, avviare un lento passaggio dalla monarchia alla repubblica. La figura del re Bhumibol – seppur anziano e malato – è molto amata e riverita nella popolazione, gode del sostegno dell’ala militare e una messa in discussione del “sistema istituzionale” del Paese è un argomento tabù.
 
La società thai resta comunque legata alle tradizioni buddiste, al valore della pace e non ammette spargimenti di sangue. È questo uno dei motivi che hanno spinto i militari, continua la fonte di AsiaNews, a evitare prove di forza. Un recente sondaggio rivela che il 90% della popolazione è contraria alle violenze di questi ultimi giorni. “Si andrà verso nuove elezioni – conclude la fonte – il punto è trovare una data che metta d’accordo il governo uscente e i manifestanti”.(DS)
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