20/12/2007, 00.00
SRI LANKA
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Jaffna è ormai una “prigione, retta da un governo militare”

di Melani Manel Perera
In un’intervista ad AsiaNews il superiore provinciale OMI in Sri Lanka, p. S.M. Selvaratnam, racconta la drammatica situazione dei tamil nel nord del Paese: la diffusa cultura della guerra, la paralisi dell’istruzione, l’impossibilità perfino di attraversare la strada senza il permesso dell’esercito, l’assenza di un’autorità che garantisca i diritti dei cittadini. La generale miseria spinge al suicidio padri di famiglia che non possono pagare le medicine per i figli.
Colombo (AsiaNews) – Una “gabbia”, una “prigione angusta”, dove anche solo per attraversare la strada si può aspettare ore finché l’esercito non lo permette, dove si può morire di fame se le autorità decidono che per “ragioni di scurezza” si bloccano le via di comunicazione e dove imperversa la cultura della violenza e dei soprusi. Questa è Jaffna, piccola penisola a nord dello Sri Lanka, un luogo che da 24 anni convive con la guerra civile e di cui “il mondo non conosce nulla, visto che da qui non arrivano notizie neppure al resto del Paese”. A raccontare la disperata situazione di Jaffna è il superiore provinciale dei Padri Oblati di Maria Immacolata (OMI) in Sri Lanka, p. S.M. Selvaratnam. AsiaNews lo ha intervistato durante una sua visita a Colombo.
 
Padre, può riassumerci le condizioni di vita della popolazione a Jaffna?
Il prossimo anno saranno 25 anni che questa piccola porzione di terra convive con un’assurda guerra tra i ribelli delle Tigri tamil e le forze governative. È troppo, la gente non potrà sopportare oltre: troppi genitori hanno perso i figli, troppi figli sono orfani, troppe donne vedove, troppe lacrime sono state versate. Al di là degli stati d’animo, si tratta di una concreta difficoltà a portare avanti la vita e le necessità di tutti i giorni. Il cibo e i medicinali possono arrivare solo per nave o con elicotteri perché i collegamenti via terra sono bloccati da oltre un anno. Tutto è sotto il controllo dei militari, così quando decidono di interrompere i rifornimenti, magari per motivi di “sicurezza”, la gente arriva a morire di fame. Ma anche quando vi è disponibilità di generi alimentari i prezzi sono talmente alti, dati i costi di trasporto, che in molti non possono permettersi di fare la spesa. Gli unici mezzi di sussistenza sarebbero l’agricoltura e la pesca, ma entrambe sono ferme: il kerosene è irreperibile ed i pescatori non possono uscire in mare aperto, perché la Marina militare sostiene sia troppo pericoloso. Si può coltivare un po’ di riso, ma solo per consumo domestico.
Difficile anche spostarsi da Jaffna verso il sud: le navi da passeggeri non assicurano un servizio regolare, mentre i voli vanno prenotati molto prima e costano troppo (125 euro per Colombo).
La gente vive nel terrore, perché - non esagero – chiunque può entrare in casa e ucciderti o spararti mentre cammini. C’è un soldato ogni 10 metri con una pistola puntata contro di te. Anche solo per attraversare la strada a volte puoi aspettare tre o quattro ore che i militari ti diano il permesso.
 
C' è possibilità di ottenere giustizia per il cittadino comune?
Nessuna, perché non c'è un’autorità affidabile cui rivolgersi. Se un mio parente viene ucciso e vado a reclamarne il corpo, devo dire per forza che era un membro delle Tigri, così che la sua uccisione sia giustificata. Le autorità ritengono a priori che i tamil di Jaffna facciano tutti parte delle Tigri. Ma governo e militari non sanno che molti di noi sono contrari ai ribelli e alle loro azioni. Inoltre, vi sono talmente tanti gruppi impegnati negli scontri nella zona, che non sai mai chi può essere il responsabile di un omicidio: la marina, la polizia, l’esercito, le Tigri o i cosiddetti gruppi paramilitari. Si può dire che non esiste ordine, né legge qui. Di recente sappiamo che è stato aperto un grande tribunale, ma ci chiediamo per cosa…persino gli avvocati sono spaventati e rifiutano di lavorare.
 
Nessuno fa appello alle forze di sicurezza presenti nella zona?
È molto triste da ammettere, ma vi è un reale problema di comunicazione. I tamil di Jaffna non riescono a parlare con i soldati cingalesi, che – per lo più giovani senza istruzione e provenienti dai villaggi – non parlano né inglese, né tamil. La maggior parte dei militari ha un atteggiamento molto duro, ma tra di loro ci sono anche brave persone, molto umane che non sanno neppure spiegare il motivo per cui siamo in guerra.
Questo particolare diventa più drammatico se si pensa che la nostra vita quotidiana dipende dall’esercito: si può dire che a Jaffna non ci si può muovere senza una lunga trafila di permessi dalle autorità militari. Ora, poi, hanno introdotto la cosiddetta “carta d’identità militare”, che rende praticamente nulla la carta d’identità nazionale, che tutti possediamo. La rilascia l’esercito solo dopo che il cittadino ha fornito la foto della famiglia, la foto personale e tutte le informazioni richieste nei minimi particolari. Ma se per essere in regola un cittadino deve possedere una carta d’identità militare, non si è più sotto un governo civile ma militare appunto.
 
Cosa può fare la Chiesa per alleviare le sofferenze di questa gente? Ci sono realtà nella società civile a Jaffna, portavoce delle esigenze dei tamil?
Di quello che succede a Jaffna realmente pochi sanno qualcosa. Non vi è libertà d’espressione e anche i sacerdoti, un tempo gli unici che osavano alzare la testa contro i soprusi, sono stati messi a tacere. La scomparsa di p. Jim Brown oltre un anno fa li ha intimoriti e spaventati. Così la voce degli abitanti di Jaffna è muta sia all’interno della penisola, che nel resto del Paese e nel mondo.
 
Quali speranze in un futuro migliore?
La gente non spera più. A Jaffna è radicata ormai una cultura della guerra: un’intera generazione è nata e cresciuta sotto le bombe. L’istruzione è paralizzata, i giovani non riescono ad andare a scuola. La cultura è distrutta. Le difficoltà economiche distruggono intere famiglie. Ci sono padri che vanno a comprare le medicine per i figli o la moglie malati, si accorgono che sono troppo costose e non tornano neppure a casa, perché per la disperazione preferiscono uccidersi. Ormai nessuno si fida più di nessun politico: per Jaffna non fa differenza chi stia al governo, tutti si sono comportati nella stessa maniera. Vi è un diffuso pessimismo; abbiamo visto troppi ambasciatori, presidenti dall’estero venire qui per poi non cambiare niente.
 
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