15/03/2016, 12.11
VATICANO-ASIA
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La canonizzazione di Madre Teresa e la missione di papa Francesco

di Bernardo Cervellera

La santa di Calcutta è un’icona del Giubileo. Una spinta a rendere effettivo l’impegno nelle opere di misericordia corporali e spirituali. Il papa applaudito, ma non capito. Per Madre Teresa, come per Francesco, la Chiesa “non è una ong”. La Madre è anche un esempio di come mettere insieme contemplazione e azione, sacramento e missione, testimonianza e impegno nel mondo, correggendo le sfasature tradizionalistiche e chiuse e quelle liberali senza identità.

Città del Vaticano (AsiaNews) - La notizia della canonizzazione di Madre Teresa era attesa da tutti, come pure la previsione sulla data, in coincidenza con quella della sua “nascita al Cielo”, il 4 settembre del 1997. Forse, quello che va compreso è il senso di questa canonizzazione per il ministero di papa Francesco.

Il pontefice l’ha citata diverse volte nei suoi discorsi e messaggi. E anche se la Madre di Calcutta non è citata nella bolla di indizione del Giubileo della Misericordia, ella può essere senz’altro presa ad esempio di una testimonianza delle opere di misericordia corporale e spirituale. Nella “Misericordiae vultus” sembra quasi di sentire lei, Madre Teresa, quando Francesco parla dei piccoli in cui “è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura”. In molte interviste, Madre Teresa parlando del motivo per cui lei e le sue suore si prendono cura di moribondi e abbandonati, ha sempre affermato “Noi lo facciamo per Cristo. Noi accogliamo Cristo, laviamo Cristo, curiamo Cristo”.

La canonizzazione di Madre Teresa durante il Giubileo serve da spinta a rendere effettiva, efficace la misericordia dentro la società. Finora i messaggi e i segnali del papa durante questo anno verso i carcerati, i poveri, i rifugiati hanno trovato poche concretizzazioni. Molto spesso, fra i cristiani il Giubileo è vissuto come un’occasione di rinnovamento spirituale individuale, ma che non si traduce subito (“in fretta”, direbbe Madre Teresa) in opere e gesti, che influenzino anche la società. Basta guardare alle resistenze del mondo europeo ad aprire le frontiere al flusso dei migranti che fuggono dalle guerre in Medio oriente e dalla fame e dal buio dell’Africa. E tutto questo, sebbene politici di ogni schieramento continuino ad “apprezzare” le parole del papa e a voler farsi ritrarre vicino a questo “faro” della coscienza mondiale.

La canonizzazione di Madre Teresa è un correttivo anche per un’altra stortura. Sono davvero tanti quelli che continuano a lodare questo papa per la sua tenerezza, la sua amabilità, le sue aperture ai gay, ai divorziati risposati, riducendolo a un’immaginetta del buonismo più mieloso, senza ascoltare in profondità e in modo completo quanto il pontefice va dicendo. Chi, ad esempio, cita papa Francesco per il suo impegno a favore della vita dal grembo materno fino alla morte? E chi lo cita quando difende la famiglia formata da uomo e donna e figli? E chi ricorda l’accusa che egli ha rivolto varie volte contro la “cospirazione ideologica” verso la famiglia? O per l’impegno sociale a trovare lavoro per i giovani e i vecchi? Come in un supermercato mediatico si prende di lui quanto può servire allo “spettacolo”: gli abbracci, le mezze parole, le denunce (ma solo quelle che piacciono a noi, che danno ragione a noi), le simpatie, i saluti…

Viene in mente quanto diceva Giovanni Paolo II davanti alle folle osannanti e plaudenti, quando – davanti al suo stesso “successo” - commentava: “Non capiscono. Non capiscono”. Le folle non capivano che tutto quello che egli faceva lo faceva per rendere visibile Gesù Cristo.

Anche papa Francesco, alla gente che gli gridava “Fran-ce-sco! Fran-ce-sco!” ha detto qualche volta: “Voi dovete gridare: Ge-sù; Ge-su; Ge-sù!”.

Madre Teresa ha avuto problemi simili, quando la gente e le istituzioni la guardavano solo per le sue opere. “Noi – diceva spesso – non siamo una ong. Le ong lavorano per un progetto; noi lavoriamo per qualcuno”. E quel qualcuno è insieme la persona di Gesù Cristo e il povero derelitto da guardare negli occhi e da accogliere come un fratello.

La canonizzazione della Madre di Calcutta rappresenta perciò un altro tassello nel programma di papa Francesco di realizzare il Concilio Vaticano II. Dalla fine del Concilio, la missione della Chiesa si è impoverita dividendosi fra conservatori e progressisti, fra tradizionalisti e liberali, fra sacramentalizzazione nelle sacrestie e esposizioni nel mondo.

Madre Teresa e le sue comunità hanno sempre tenuto insieme i due estremi: sacramento e missione nel mondo; contemplazione e azione; consacrazione e efficienza. In tal modo la missione nel mondo non è divenuta – come talvolta  capitato a istituti religiosi – un annegare nel mondo, ma un entrare per portarvi la gioia che Cristo ci ha conquistato.

Vale la pena ricordare qui una citazione che papa Francesco fa di Madre Teresa e di san Francesco di Assisi come “modelli” di vita cristiana nell’Evangelii Gaudium, la sua esortazione apostolica programmatica del suo ministero.

Al n. 183, egli afferma: “Nessuno può̀ esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità̀ delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società̀ civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra”.

Madre Teresa – insieme a san Francesco, il santo a cui questo papa si ispira – è dunque un simbolo fondamentale di quella gioia del Vangelo che si comunica al mondo e lo cambia con la propria fede, con il proprio impegno: molto lontani da un cristianesimo pauroso del mondo, che si barrica fra mura di “dottrina”, e da un cristianesimo spensierato che dialoga col mondo dimenticando il tesoro da comunicare.

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