07/07/2017, 11.53
TURCHIA
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Le autorità turche “congelano” l’esproprio di oltre 50 fra chiese e monasteri siro-ortodossi

I luoghi di culto appartengono alla comunità siro-ortodossa di Madin, nel sud-est del Paese. La disputa verrà risolta in via “giudiziaria”; fino alla sentenza la proprietà dei luoghi non verrà “trasferita” al direttorato per gli Affari religiosi. Federazione Aramei in Svizzera: requisizione “illegittima”, a rischio il patrimonio culturale cristiano in Turchia. 

 

Istanbul (AsiaNews) - Le autorità turche hanno congelato la decisione di trasferire la proprietà di oltre 50 fra chiese e monasteri appartenenti alla comunità siro-ortodossa di Madin, nella regione di Tur Abdin, nel sud-est della Turchia, al “Diyanet” (direttorato per gli Affari religiosi). È quanto riferisce l’agenzia Doğan News Agency, che riporta una nota ufficiale del governatorato di Madin secondo cui la disputa va risolta “in via giudiziaria”. Fino alla sentenza, prosegue il comunicato, la proprietà dei luoghi di culto “non sarà trasferita” al direttorato. 

Al momento viene dunque sospeso l’esproprio di oltre 50 edifici - fra chiese, monasteri e cimiteri - appartenenti al millenario patrimonio culturale e religioso dei cristiani della regione. Fonti ufficiali confermano che per il futuro prossimo permane lo status quo e la registrazione degli edifici rimane appannaggio del dicastero del Tesoro, in attesa di una sentenza legale che fornisca “l’esatta soluzione del problema”. 

La decisione di trasferire le proprietà risale al 2014 e rientra nel contesto della nuova organizzazione amministrativa di Mardin, divenuto un comune metropolitano che ha assorbito i villaggi circostanti trasformandoli in quartieri. Una mossa che ha sollevato proteste e indignazione nella comunità cristiana locale e internazionale. 

Kuryakos Ergün, capo del monastero di San Gabriele (nella foto), uno dei luoghi di culto oggetto di esproprio, conferma che la disputa non è ancora risolta, anche se resta immutata (per il momento) la destinazione d’uso come luogo di culto. Egli si augura che la proprietà dell’edificio venga assegnata alla fondazione che fa capo al monastero e che lo stesso avvenga per tutte le altre chiese e monasteri, patrimonio della cultura e della storia cristiana della regione. 

Sulla controversia è intervenuta anche la Federazione degli Aramei in Svizzera che in una dichiarazione ufficiale inviata ad AsiaNews si oppone a quella che definisce una “espropriazione illegittima” del patrimonio culturale cristiano in Turchia. Annunciando battaglia legale, il presidente Melki Toprak parla di una situazione “allarmante” che resta “immutata”, anche perché ora tocca ad Ankara pronunciarsi sul trasferimento della proprietà. 

I responsabili dei luoghi di culto cristiani hanno inviato una dichiarazione comune al ministero degli Interni ad Ankara, in cui chiedono di abolire in via definitiva la confisca di beni e proprietà. Se l’appello venisse ignorato, tutto ciò comporterebbe “l’estinzione definitiva del cristianesimo, della nostra etnia e cultura aramea in Turchia”. 

“Fino ad oggi - prosegue la nota della Federazione gli Aramei in Svizzera - gli Aramei in Turchia, così come altre minoranze, non sono tuttora riconosciuti e pertanto non godono appieno dei diritti umani, tra cui la libertà di culto e il diritto di proprietà. L’acquisizione, la conservazione o la costruzione di proprietà immobiliari da parte delle chiese è ostacolata da enormi difficoltà burocratiche”. E la situazione resta “critica” da un punto di vista umano e legale. 

Ai primi del 900 la popolazione degli Aramei nel Tur Abdin era attorno al mezzo milione; oggi resta una piccola comunità di circa 2mila persone, altre 20mila sono stanziate nell’area di Istanbul. (DS)

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