07/07/2010, 00.00
TURCHIA-ISRAELE
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Le mille vie, e le contraddizioni, di Erdogan

di NAT da Polis
Il premier turco si trova ad affrontare una grave crisi nei rapporti con Israele, che preoccupa anche Paesi come gli Stati Uniti e la Siria. Al tempo stesso, all’interno non riesce a trovare una soluzione politica per risolvere il perenne conflitto con i curdi.
Istanbul (AsiaNews) - L’ incontro segreto tra il ministro degli Esteri turco Davutoglu  e il ministro del commercio israeliano, avvenuto a Bruxelles alcuni giorni fa, è stato voluto dall’amministrazione Obama per smussare la crisi tra Ankara e Tel Aviv, crisi iniziata la scorsa primavera e che ha raggiunto  il suo apice il 31 maggio, con l’uccisione di 8 cittadini turchi sul battello turco Mavi Marmara, attaccato dalle forze speciali israeliane mentre si dirigeva verso Gaza. L’incontro ha messo in crisi anche i rapporti all’interno del governo israeliano tra il primo ministro Netanyahu e il suo ministro degli esteri Liberman, espressione quest’ultimo della destra più oltranzista dell’attuale coalizione governativa.
 
E’ stato però lo stesso Davutoglu a rimettere tutto in discussione quando, nel volo di ritorno dalla sua visita in Kirghizistan, Paese di ceppo linguistico turco e religione musulmana - e ricco di risorse energetiche - minacciando l’interruzione dei rapporti diplomatici con Tel Aviv e la chiusura dello spazio aereo turco ai voli israeliani. Secondo Davutoglu, il ristabilimento delle relazioni tra i due Paesi potrebbe avvenire soltanto nel caso in cui Tel Aviv presentasse scuse formali per l’uccisione degli 8 cittadini turchi e accettasse la formazione di una commissione di inchiesta. E ha aggiunto che la Turchia ritiene necessario anche un risarcimento.
 
La gravità della situazione preoccupa il presidente della Siria Bashar Al Assad, sostenitore della Turchia dopo l’avvento al potere di Erdogan. Nel corso di una sua visista a Madrid, Assad ha infatti detto che “se non si ripristinano i rapporti tra Turchia e Israele, sarà difficile per Ankara aver un ruolo nelle diverse trattative in Medio Oriente”. E “questo declassamento del suo ruolo negli affari della regione influenzerà la stabilità della regione”. Riferendosi poi ai fatti del 31 maggio, ha indicato in Israele  il vero destabilizzatore della regione.
 
Lo stesso presidente Obama, secondo fonti del panarabo Al Hayat e del turco Milliyet, a margine del recente vertice del G20 di Toronto, ha consigliato Erdogan a non chiedere la costituzione di una commissione internazionale, perché potrebbe avere ripercussioni negative sulla stessa Ankara.
 
Le parole di Obama assumono particolare importanza, si commenta negli ambienti diplomatici di Ankara. E’ infatti ben noto il sostegno dell’attuale amministrazione americana alla Turchia, ricordando la storica vista di Obama di un anno fa ad Ankara e il suo discorso al parlamento turco, che in sostanza valorizzava l’attuale leadership turca e il suo ruolo nel pianeta islamico, superando così la rottura avvenuta con l’amministrazione Bush, dopo il rifiuto di Ankara all’uso delle sue basi per l’attacco Usa all’Iraq. Allo stesso tempo sono ben note anche le riserve di Obama verso l’attuale governo di Tel Aviv, poco flessibile, se non oltranzista, nell’ottica degli interessi americani nella zona.
 
In questo quadro, la rivalorizzazione del ruolo di Ankara, con il suo attuale governo, e la sua penetrazione nel mondo islamico come modello di riferimento hanno infastidito Tel Aviv.
  
D’altra parte, è noto che quello che più brucia in Turchia è la questione curda, ventre molle dello Stato turco sin dalla sua nascita. E negli ultimi mesi, tutti i media turchi sono invasi dai funerali delle vittime degli attacchi del PKK. Non passa giorno che non ci sia uno scontro tra l’esercito turco e il PKK o attentati terroristici nei grandi centri urbani. Sembra di tornare agli anni novanta, si commenta negli ambienti giornalistici ove ci si chiede perché si e arrivati a questo punto. Un anno fa il governo dell’AKP, nelle cui file vengono eletti 70 deputati nelle zone del sudest turco prevalentemente abitate dall’etnia curda, aveva annunciato un’apertura ai curdi della Turchia come un tentativo di risolvere la questione politicamente. Si permetteva anche la diffusione di trasmissioni in ligua curda, il ritorno della toponomastica nella stessa lingua e la diminuzione del controllo politico.
 
Il vecchio estabishment ha reagito facendo la voce grossa attraverso i partiti d’opposizione CHP e MHP.
 
Le misure governative, però, non hanno soddisfatto i curdi e il PKK, che miravano al riconoscimento costituzionale della loro identità, alla concessione dell’autonomia nelle zone del sudest della Turchia e ad una amnistia generale con relativa liberazione di Ocalan, il cui ruolo è stato a volte messo in dubbio da alcuni settori dell'attuale governo per opportunismo e convivenze dubbie con ambienti, del vecchio establishment, a quanto si dice in ambienti giornalistici.
 
In seguito, come spesso avviene in Turchia, è intervenuta la Corte suprema che ha provveduto allo scioglimento del partito filo-curdo DTP e dalle sue ceneri è nato il BDP (Partito della pace e della democrazia) nelle cui file militano 20 deputati.
 
A Erdogan è stato rimproverato dagli ambienti liberali di non aver osato più di tanto, a causa delle pressioni dei partiti CHP e MHP. Ma non si può non riconoscergli di avere portato una certa democratizzazione della società turca, al punto che l’Unione degli industriali turchi(TUSIAD) il 26 giugno ha proposto di aggiungere alla costituzione turca che la Turchia è stata fondata da curdi e turchi e di riconoscere l’autonomia delle regioni del sudest..Cose che appena 5 anni fa erano inimmaginabili. Lo stesso Erdogan rivolgendosi al capo del partito dei nazionalisti Bahceli il quale chiedeva la proclamazione dello stato d’assedio in quelle zone gli ha risposto che “la freccia della democratizzazione è gia partita e non si fermerà”.
 
D’altra parte, secondo alcuni analisti turchi, come Asli Aydintasbas, il protagonismo turco con il suo crescente peso geopolitico nello scacchiere mondiale  infastidisce alcuni settori di Israele, capovolgendo cosi certi equilibri mediorientali, soprattutto con l’attuale governo. Motivo per cui ritengono un dato di fatto il coinvolgimento di Israele negli attacchi dei curdi del PKK.
 
Ed a questo punto che inizia a scattare la teoria della cospirazione sostenuta dallo stesso Erdogan e dai i suoi .
 
Ma, secondo Ayidintasbas, non c’è alcuna prova che dietro il PKK c’è Israele. L unica collaborazione con il PKK, sottolinea, è del PJAK, i curdi dell Iran, i quali sono addestrati da Israele.    
 
Malgrado ciò, è diffusa tra la popolazione la convinzione che Israele sia coinvolto, dopo che la Turchia ha dato il proprio sostegno a Hamas e che c’è un collegamento tra i vari attentati e l’attacco alla flottiglia del 31 maggio .Lo stesso vice presidente Celik vede un collegamento tra l’attentato di Iskedorun e l’attacco alla nave Mavi Marmara.
 
Alcuni altri analisti fanno notare che il coinvolgimento di Israele  spinge gli islamici e i neonazionalisti a chiedere la rottura con Israele. Gli  stessi analisti  fanno notare il decennale coinvolgimento di Israele con i curdi dell’Iraq e dell’Iran.
 
Infine non si dimentichi che la Turchia sta entrando in una fase politica interna intensa .Ieri la Corte suprema ha iniziato la discussione sulla legittimità del ricorso al suffragio universale nella riforma di alcuni articoli della costituzione, che metterebbero in soffitta lo Stato kemalista e l’anno prossimo ci saranno le elezioni politiche.
 
Insomma, per capire la Turchia occorrono, come diceva l’orientalista russo Vasili Vladimirovic Bartold, molte competenze e senza trascurare la sua capacità camaleontica nelle relazioni internazionali, indipendentemente dal partito al governo .
 
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