11/04/2018, 14.48
ASIA
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Lo squilibrio cinese, fra eccedenze valutarie e manipolazione dello yuan (III)

di Maurizio d'Orlando

Il gigante cinese è segnato da una enorme base produttiva, ma trainata solo dalle esportazioni. La frode dei cambi e i progetti corrotti. La Cina ha paura di cambiare il modello di sviluppo per timore di rivoluzioni sociali. I problemi della Russia, dell’India, dell’America latina. Nessuna speranza per una crescita dell’economia reale. Dal nostro esperto di economia politica. La terza di quattro parti.

Milano (AsiaNews) - Per equità, [dopo aver parlato del paradosso Usa – ndr] bisognerebbe accennare allo speculare paradosso e squilibrio cinese. Un’economia trainata unicamente dalle esportazioni con un’espansione senza precedenti della base produttiva e l’accumulo di eccedenze valutarie sono le sue simmetriche e contrapposte caratteristiche. Come quello americano anche il paradosso cinese non è più ulteriormente sostenibile. Il fenomenale sviluppo economico degli ultimi 20 anni poggia su un’incongruenza non sanabile. Da tempo è noto infatti che la crescita cinese si è basata tutta sulla frode dei cambi (sottovalutati fino al 30 / 40% rispetto alla parità di poter d’acquisto); sul trasferimento coatto di tecnologia – o sul furto puro e semplice (di proprietà intellettuale) – ; sulla compressione dei consumi interni ed infine sull’impiego delle eccedenze valutarie per consentire al Partito comunista al potere di mantenere il controllo politico e sociale in Cina. Il lato oscuro ed inquietante è proprio questo: la rapina sistematica del risparmio, operata da banche e finanziarie per sostenere imprese statali o para-statali inefficienti ed insolventi o per finanziare progetti ed infrastrutture utili solo ai dirigenti politici locali per fini clientelari.

I timori della Cina

A tutto ciò oggi, dopo 10 anni di crescita reale piatta a livello mondiale, al controsenso di una base industriale ipertrofica tutta orientata all’esportazione, si deve aggiungere un’ulteriore contraddizione. La QE cinese, infatti, è stata impegnata ancora in nuovi impianti industriali, con enormi e costosissimi eccessi di capacità produttiva sotto utilizzata. Infine proprio in questi giorni dobbiamo osservare come una dirigenza corrotta, formata dai quadri del Partito comunista, si è resa inamovibile con diritto a guidare il Paese a vita, o meglio all’infinito. Come negli USA, anche in Cina le esigenze politiche interne sono preminenti rispetto alla soluzione delle contraddizioni economiche interne al sistema. La Cina non può rinunciare ad accumulare eccedenze valutarie o mediante una forte rivalutazione del cambio dello yuan rispetto al dollaro o mediante l’accettazione di dazi protezionistici che fermino il flusso straripante delle sue esportazioni. Significherebbe il fallimento di interi settori industriali che producono solo per l’esportazione con licenziamenti di massa e concreti rischi di sommosse e di un rovesciamento del regime. Anche il paradosso cinese, speculare a quello americano, è crescente e sempre più insostenibile. D’altronde, come si può davvero pensare che un’economia parassitaria di idee come quella cinese, in un Paese con un regime dittatoriale, con una manodopera in larga parte poco al disopra del livello della schiavitù, possa fare da traino alla ripresa di un reale sviluppo economico mondiale?

E poi c’è Russia e India

Abbiamo accennato alle tre maggiori aree economiche del pianeta. Sempre per equità dovremmo dire qualcosa – solo due righe – delle altre aree del mondo. Si pensi alla Russia, alle prese con una complessa ristrutturazione del settore bancario, un Paese che è ancora controllato da un ristretto ceto formato dagli eredi dei cekisti bolscevichi, dove l’unica industria che sforna prodotti con un buon rapporto qualità prezzo è quella degli armamenti e per il resto riesce solo ad esportare materie prime e soprattutto idrocarburi, gas naturale in primo luogo.

Si pensi all’India del suprematismo induista, con il problema delle infrastrutture fatiscenti ed insufficienti – spesso risalenti ancora all’epoca coloniale inglese – schiacciata dalla burocrazia soffocante e dall’annoso problema delle caste ed in cui il governo Modi sta scivolando verso un regime dittatoriale. Ha fatto ridere tutto il mondo pensando di risolvere il problema della corruzione ritirando dalla circolazione le banconote con un controvalore di circa 7 dollari.

Si pensi ancora all’Africa, un continente potenzialmente molto ricco, incatenato da un feroce razzismo intertribale che tutto distorce e tutto corrompe, dove la corruzione non solo è sistemica ma è codificata secondo le varie appartenenze etniche e la crescita economica rimane contenuta nonostante una dinamica demografica fortissima.

Si pensi all’America Latina, soggiogata dalle mafie politiche o indigeniste o massoniche o “deutero-comuniste” o semplicemente criminali, che continua a non riuscire ad ingranare un autentico decollo economico endogeno.

Si pensi al Nord Africa paralizzato anche economicamente dall’islamismo, o ad Israele che da decenni e decenni senza l’aiuto economico americano non potrebbe sopravvivere. Si pensi al ducetto anatolico che con l’economia in bancarotta e con le forze armate decapitate dalle purghe integraliste si lancia spensierato in guerre di conquista neo-ottomane. Si pensi infine alle tante altre aree sconvolte dai conflitti, dove nemmeno si può ragionare di economia. Da quale parte del mondo può venire una speranza di crescita economica reale in grado di trainare il resto del pianeta?  

 

(Fine terza parte. Per la prima parte vedi qui; per la seconda vedi qui)

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