14/03/2016, 12.27
COSTA D’AVORIO
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P. Valmir: Tra i musulmani della Costa d’Avorio, semino la riconciliazione

Il missionario del Pime, brasiliano, è nel nord del Paese dal 2013. Nonostante la minaccia di Boko Haram e la diffidenza reciproca, ha creato un dialogo proficuo e pacifico fra cristiani e musulmani: “Come cristiani sentiamo il dovere di andare incontro all’altro. In mezzo ai musulmani la fede è messa alla prova: bisogna dare le ragioni del credere”.

Roma (AsiaNews) – Padre Dos Santos Valmir Manoel è un missionario del Pontifico Istituto Missioni Estere (Pime), in Costa d’Avorio dal 2013. Nel Paese, colpito ieri dalla strage avvenuta sulle spiagge di Grand Bassam, il sacerdote coltiva un’opera di pace e fratellanza con i musulmani, dei quali è riuscito a vincere la diffidenza. AsiaNews lo ha intervistato alla vigilia del suo ritorno in missione, che ha coinciso con l’attacco terroristico.

“Sappiamo che ci sono ‘missionari’ fondamentalisti islamici in Costa d’Avorio, anche se per ora la minaccia di Boko Haram non è presente. Siamo in allerta perché hanno già iniziato in Burkina Faso e in altri Stati vicini. Questi gruppi terroristi, non possono venire in blocco, la società non li accetterebbe, perciò mandano qualcuno che si inserisce nella società e comincia a creare le condizioni. Pian piano mandano i rinforzi e arriverà il momento i cui saranno pronti ad agire”. È stata quasi una profezia della strage di ieri, quella pronunciata da p. Valmir ad AsiaNews, alla vigilia del suo ritorno in Costa d’Avorio. Ma nella sua parrocchia, nonostante la minaccia del terrorismo, il sacerdote ha creato un dialogo proficuo e pacifico fra cristiani e musulmani.

Originario dello Stato del Piaui, del nord-est del Brasile, p. Valmir ha compiuto il percorso vocazionale in diocesi, fino a quando ha sentito parlare “di tutta quella parte del mondo che ancora non ha conosciuto Gesù. Mi sono detto: chissà che non sia la mia vocazione andare là! I missionari scherzano sempre dicendo che la Coca Cola è più conosciuta di Gesù Cristo, e a me questo ha fatto impressione: se è vero che è così, voglio provare a cambiare le cose! Così ho contattato il Pime e attraverso la rivista ‘Mondo e missione’ ho conosciuto alcuni missionari”.

Destinato all’Africa, il missionario si stabilisce nel 2013 a Kani, nel nord-ovest della Costa d’Avorio, a 600 km da Abidjan. Lì trova una situazione nuova per lui: “Abituato al Brasile, dove la stragrande maggioranza della popolazione è cattolica, mi sono trovato dalla parte della minoranza”. Nella sua zona, spiega, “i musulmani sono più del 90%; il 7-8% sono animisti o della religione tradizionale, e il 2% cristiani, di cui l’1,5% cattolici”.

A Kani p. Valmir segue una comunità formata da 2mila cristiani, divisa fra la città e i piccoli villaggi attorno. Il sacerdote è contento di vivere a stretto contatto con persone di altre religioni: “In un confronto così, uno è chiamato a dare ragione del proprio credo, e io ho sperimentato che vivo meglio la mia fede lì in Costa d’Avorio, in un contesto musulmano, piuttosto che laddove la maggioranza è cattolica”. Ancora oggi, però, la minoranza cristiana è spesso marginalizzata: “Una suora mia amica – dice p. Valmir – mi raccontava che ha smesso di andare al mercato perché si rifiutano di servirla, in quanto bianca e cristiana”.

Per anni l’atmosfera tra cristiani e musulmani è stata tesa, avvelenata da odio e sospetto. Negli ultimi tempi però, grazie all’opera di p. Valmir (insieme a p. Davide Carraro, altro missionario Pime), la situazione è cambiata: “Abbiamo iniziato a cercare l’unità con i musulmani, nel rispetto, cercando di conoscere di più la religione dell’altro, per vivere insieme. L’approccio non è stato facile, ma abbiamo intensificato le visite all’imam locale, vincendo la diffidenza. In quanto cristiani non possiamo vivere accanto a qualcuno senza parlare con lui. È il messaggio evangelico che ci spinge verso di loro”.

Il culmine di questo cammino interreligioso è stato un grande incontro di preghiera comune, organizzato a luglio 2015, poco prima delle elezioni presidenziali (tenutesi a novembre). “In quel periodo c’era un clima pesante – racconta p. Valmir – e così abbiamo pensato: cogliamo l’occasione per incontrarci con i musulmani e pregare per la pace e per l’unità. C’è voluto un po’ di tempo per convincere tutti, però l’imam ha riunito il suo consiglio e ha aderito all’idea. Il giorno della preghiera i musulmani erano lì in massa. Ogni comunità (c’erano anche i protestanti) ha avuto un momento per fare la sua preghiera. È stato bello perché, per la prima volta, eravamo lì a pregare insieme. Tutti hanno avuto la sensazione che il nostro Dio è unico. Tutti erano contenti, dicevano: ‘Non sapevamo che la vostra preghiera fosse così intensa’. È stato un momento di scoperta della fede dell’altro.”

“Le elezioni di novembre poi – continua il missionario – sono andate benissimo: nessuna violenza, non ci potevamo credere! Dio ci ha esaudito”. Quel momento di riconciliazione non è passato inosservato alle autorità politiche: “Subito dopo le elezioni – afferma p. Valmir – il governatore della provincia ci ha chiesto di fare un’altra preghiera interreligiosa, per ringraziare per la buona riuscita del voto. Avevano visto l’importanza di quell’evento per la società”.

Grazie al rapporto intensificatosi, l’atteggiamento generale dei musulmani è cambiato: “Gli imam – racconta il sacerdote – di solito non venivano alla missione, perché pensavano: ‘Chissà cosa fanno i padri lì’. Invece ora hanno cominciato a frequentarci e io continuo ad andare da loro. Mostriamo loro che siamo lì non per combatterli, ma per vivere la nostra fede e proporla a chi vuole. I fedeli musulmani, vedendo l’atteggiamento dei loro leader nei nostri confronti, hanno capito che la diffidenza è senza ragioni”.

Questo non significa che tutti i problemi siano risolti: “Ancora oggi se un musulmano, specialmente se donna e minorenne, vuole convertirsi al cristianesimo, i genitori si oppongono. Se uno è adulto può farlo, ma viene rifiutato dalla famiglia e deve cambiare città per non essere ucciso. A fianco a queste difficoltà – conclude p. Valmir – vediamo che la Chiesa sta crescendo molto. Aspettiamo la prima vocazione locale come compimento di questo processo”.

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