17/05/2008, 00.00
COREA
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Padre Giancarlo Faldani e l’oasi internazionale di Seoul

di Pino Cazzaniga
La storia degli ultimi 50 anni della Chiesa in Corea e il contributo della missione francescana. La spinta alle sfide dello sviluppo economico, della globalizzazione e dei giovani.

Seoul (AsiaNews) - Sulla costa di una collina non lontana dal fiume Han a Seoul i francescani conventuali italiani hanno costruito il centro della loro provincia coreana che ospita pure la parrocchia internazionale. Essa è diventata un’oasi di vita e di pace per centinaia di stranieri. Dall’anno 2000 ne è parroco padre Giancarlo Faldani (66), missionario in Corea dal 1969.

Tre anni fa è stato nominato cittadino onorario di Seoul, onorificenza alla quale non dà importanza. “Se un merito c’è - si schermisce - appartiene all’Ordine per la realizzazione di opere a favore dei poveri”. Pare, tuttavia, che nella concessione non sia stata secondaria l’iniziativa dell’ambasciata italiana, che ha voluto esprimere al frate un segno di gratitudine per il sostegno psicologico che offre a parecchi connazionali.

Ma la sua personalità è significativa per un valore più sostanziale: la vita di padre Giancarlo è un’icone del carisma missionario della Chiesa italiana trapiantato e cresciuto in Corea.

Fino a qualche anno fa, riferendosi allo sviluppo dell’Ordine dei francescani conventuali nella penisola coreana, si parlava, in modo semiserio, dell’avventura dei “tre Faldani”: gli altri due, ora già nella gloria del Cielo, sono lo zio Francesco, il pioniere, e il cugino Paolo. Tutti e tre sono nati e vissuti a Cittadella, paese della provincia di Padova.

La loro vicenda, pur essendo ricca di avvenimenti e realizzazioni, è talmente lineare da sembrare lo svolgimento di un programma predeterminato dall’Ordine. Non è così. In realtà, generose risposte a ispirazioni e a “obbedienze” ne spiegano il successo.

“La vocazione missionaria - dice padre Giancarlo - ha preceduto quella dell’entrata in convento. Il desiderio di farmi missionario l’ho sentito per la prima volta a cinque anni, quando ho visto lo zio partire per la Cina. Si è poi rafforzato attraverso le letture di riviste missionarie che il parroco passava a noi ragazzi”. Certamente nel processo di maturazione è stata determinante la formazione ricevuta nell’Ordine dei francescani conventuali.

Ecclesiale è stata pure la causa della destinazione alla Corea. Verso la fine degli anni ’50 nella città portuale di Pusan, avevano trovato alloggio centinaia di cattolici coreani, fuggiti dal nord durante la guerra civile (1950-53). La penuria di sacerdoti ha spinto il vescovo John Choi a chiedere personale a vari ordini religiosi stranieri. Nel 1958 il Generale dei francescani conventuali ha risposto all’invito perchè poteva disporre di due seminaristi coreani che stavano per essere ordinati sacerdoti in Giappone Ma occorreva un confratello anziano che assumesse la responsabilità del piccolo gruppo. La scelta cadde su padre Francesco, che dopo solo cinque anni aveva dovuto lasciare la Cina perchè espulso dal governo comunista di Mao Tse Tung.

Gli inizi furono molto duri ma il veterano missionario con l’aiuto di altri due conventuali, i padri Mario Fabrizi e Vittorio Di Nardo, offerti dalla provincia degli Abruzzi (Italia), è riuscito a porre le basi per lo sviluppo futuro.

Nel 1969 con la venuta di padre Giancarlo e dell’abruzzese padre Antonio Di Francesco i conventuali italiani si sono inseriti pienamente nella cultura del Paese. Nella preparazione dell’ambiente materiale ha svolto un ruolo dei prim’ordine Vittorio, dotato del carisma delle costruzioni. L’intuizione di acquistare un terreno sul fianco della collina presso il fiume Han si deve a lui. “Quella zona - racconta Giancarlo - trent’anni fa era svalutata perchè priva di sistemi e mezzi di comunicazione. Ora davanti al convento passa un’arteria stradale di quattro corsie che unisce il centro della capitale alle autostrade”. Padre Vittorio è diventato anche, per così dire, il “san Giuseppe” dell’immensa diocesi di Seoul, perchè la curia gli ha affidato la supervisione delle sue costruzioni.

L’avventura missionaria di Giancarlo e dei confratelli italiani si è svolta nel periodo dell’incredibile sviluppo economico, politico, sociale e, soprattutto, religioso della Corea del sud. “Nel 1958 - osserva Giancarlo - in Corea (sud) i cattolici non superavano le 800.000 unità. Ora si avvicinano ai 5 milioni. Di essi più della metà hanno ricevuto il battesimo da adulti.

Nel contesto della mirabile crescita cattolica in Corea, la comunità conventuale ha dato un contributo notevole. Innanzitutto è cresciuta anch’essa. Il nucleo iniziale del patriarca Francesco  e dei due giovani preti coreani  si è sviluppato in un’istituzione che conta 50 sacerdoti e 7 fratelli ed è presente nelle quattro principali città della nazione: Seoul, Pusan, Taegu e Inchon. Le spiritualità degli antichi ordini religiosi sono un fermento di particolare valore per la formazione delle giovani cristianità. Cinquant’anni fa la Chiesa italiana attraverso il veicolo dei tre Faldani di Cittadella e dei confratelli abruzzesi l’ha offerto alla giovane Chiesa della Corea.

Dei conventuali italiani ne sono rimasti solo quattro: padre Mario, da decenni impegnato nell’assistenza dei ragazzi handicappati, padre Antonio, una colonna nella formazione dei seminaristi, padre Vittorio, il “San Giuseppe” di conventi, chiese e ospedali, e padre Giancarlo che, attualmente è l’icona del riciclaggio del missionario straniero nell’Asia orientale. Ci spieghiamo. Negli ultimi due decenni in Corea gli immigrati sono diventati assai numerosi: tra essi i cattolici non sono pochi. Per questi la messa domenicale è una sorgente di vita che permette loro non solo di sopravvivere nel deserto culturale dell’Asia ma anche di essere fermento di globalizzazione spirituale

Nel nuovo contesto la presenza del missionario straniero è pressoché insostituibile. I preti coreani per ragioni culturali e linguistiche trovano assai ardua questa forma di assistenza religiosa. Alla domenica padre Giancarlo Faldani diventa il servo di una comunità di circa 500 cattolici stranieri. Egli considera il nuovo ruolo non come un “riciclaggio” ma un dono della Provvidenza e ne è felice.

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