13/10/2021, 10.30
VATICANO
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Papa: libertà cristiana non dà visione statica della cultura, ma dinamica della tradizione

"Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! Uniformità, che non è unità. A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista”. “La critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – “La libertà della fede cristiana non indica una visione statica della vita e della cultura, ma dinamica, una dimensione dinamica della tradizione, che cresce”; per questo la Chiesa cattolica, cioè universale, è aperta ad ogni tradizione, a ogni cultura che per sua natura cambia nel tempo. “La libertà cristiana, fermento universale di liberazione” è stato l’argomento del quale papa Francesco, continuando il ciclo di catechesi sulla Lettera ai Galati di san Paolo ha parlato alle ottomila persone presenti nell’aula Paolo VI per l’udienza generale.

Per l’Apostolo, ha evidenziato Francesco, nucleo centrale della libertà è “il fatto che, con la morte e risurrezione di Gesù Cristo, siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e della morte. In altri termini: siamo liberi perché siamo stati liberati, liberati per grazia, non per pagamento, liberati dall’amore, che diventa la legge somma e nuova della vita cristiana. Gratuitamente, questo è il punto chiave”.

E’ questo che ci apre “ad accogliere ogni popolo e cultura e nello stesso tempo apra ogni popolo e cultura a una libertà più grande. San Paolo infatti dice che per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano. Conta solo «la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6)”. “I detrattori di Paolo, questi fondamentalisti che erano arrivati lì, lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per ‘piacere a tutti’, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa. Lo stesso dei fondamentalisti oggi. Come si vede, la critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle”. Paolo risponde dicendo che “nella sua predicazione non aveva mai usato «parole di adulazione, né […] avuto intenzioni di cupidigia […]. E neppure […] cercato la gloria umana» (1 Ts 2,5-6). Sono le strade di una fede che non è fede, è mondanità. Il pensiero di Paolo si mostra ancora una volta di una profondità ispirata. Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo. Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo. La liberazione ottenuta con il battesimo, infatti, ci permette di acquisire la piena dignità di figli di Dio, così che, mentre rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali, al tempo stesso ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse”.

“Nella chiamata alla libertà scopriamo il vero senso dell’inculturazione del Vangelo: essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture. Non è una cosa facile! Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile. Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! Uniformità, che non è unità. A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista. In questo modo, si è privata la Chiesa della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni. Ma questo è l’esatto contrario della libertà cristiana!”.

“Insomma, la visione della libertà propria di Paolo è tutta illuminata e fecondata dal mistero di Cristo, che nella sua incarnazione – ricorda il Concilio Vaticano II – si è unito in certo modo ad ogni uomo (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 22). Da qui deriva il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante. È questo il senso di dirci cattolici, di parlare di Chiesa cattolica”. Cattolicità significa universalità, “vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti. La cultura, d’altronde, è per sua stessa natura in continua trasformazione. Si pensi a come siamo chiamati ad annunciare il Vangelo in questo momento storico di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio. Se dovessimo pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni. La libertà della fede cristiana non indica una visione statica della vita e della cultura, ma dinamica, una dimensione dinamica della tradizione, che cresce, cresce. Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire. Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza”.

In proposito, nel saluto ai polacchi, ricordando che “questa settimana ricorrono l’anniversario dell’elezione di San Giovanni Paolo II e le memorie liturgiche di San Giovanni XXIII, Santa Teresa d’Ávila e Sant’Edvige di Slesia”, ha affermato che “le loro vite sono chiari esempi di libertà cristiana. L’esperienza di questi Santi vi ricordi che non esiste libertà senza responsabilità e senza amore per la verità. E la più grande realizzazione della libertà è la carità, che si concretizza nel servizio”.

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