24/10/2015, 00.00
SINODO
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Papa: primo dovere della Chiesa non è condannare, ma proclamare la misericordia di Dio

“Il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole ‘indottrinarlo’ in pietre morte da scagliare contro gli altri”. Il Sinodo ha cercato “di guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività”.

Città del Vaticano (AsiaNews) –  “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore”. E questo “significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16). Anzi significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc 2,27).

Nell’ultimo giorno di lavoro dei partecipanti al Sinodo della famiglia, che hanno approvato la relazione finale, papa Francesco si è chiesto “che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?”.

“Certamente – ha proseguito - non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto. Sicuramente non significa aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia, ma aver messo tali difficoltà e dubbi sotto la luce della Fede, averli esaminati attentamente, averli affrontati senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia.

Significa aver sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del Matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana.

Significa aver ascoltato e fatto ascoltare le voci delle famiglie e dei pastori della Chiesa che sono venuti a Roma portando sulle loro spalle i pesi e le speranze, le ricchezze e le sfide delle famiglie di ogni parte del mondo.

Significa aver dato prova della vivacità della Chiesa Cattolica, che non ha paura di scuotere le coscienze anestetizzate o di sporcarsi le mani discutendo animatamente e francamente sulla famiglia.

Significa aver cercato di guardare e di leggere la realtà, anzi le realtà, di oggi con gli occhi di Dio, per accendere e illuminare con la fiamma della fede i cuori degli uomini, in un momento storico di scoraggiamento e di crisi sociale, economica, morale e di prevalente negatività.

Significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri.

Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite.

Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori.

Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana, qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile.

Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa “moduli preconfezionati”, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi.

E – aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato. Il Sinodo del 1985, che celebrava il 20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, ha parlato dell’inculturazione come dell’«intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture umane». L’inculturazione non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture.

Abbiamo visto, anche attraverso la ricchezza della nostra diversità, che la sfida che abbiamo davanti è sempre la stessa: annunciare il Vangelo all’uomo di oggi, difendendo la famiglia da tutti gli attacchi ideologici e individualistici.

E, senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri, abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che «TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI» (1 Tm 2,4), per inserire e per vivere questo Sinodo nel contesto dell’Anno Straordinario della Misericordia che la Chiesa è chiamata a vivere.

Cari Confratelli,

l’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm 3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54). Significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16). Anzi significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc 2,27).

In questo senso il doveroso pentimento, le opere e gli sforzi umani assumono un significato più profondo, non come prezzo dell’inacquistabile Salvezza, compiuta da Cristo gratuitamente sulla Croce, ma come risposta a Colui che ci ha amato per primo e ci ha salvato a prezzo del suo sangue innocente, mentre eravamo ancora peccatori (cfr Rm 5,6).

Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50).

Il beato Paolo VI, con parole stupende, diceva: «Possiamo quindi pensare che ogni nostro peccato o fuga da Dio accende in Lui una fiamma di più intenso amore, un desiderio di riaverci e reinserirci nel suo piano di salvezza [...]. Dio, in Cristo, si rivela infinitamente buono [...]. Dio è buono. E non soltanto in sé stesso; Dio è – diciamolo piangendo – buono per noi. Egli ci ama, cerca, pensa, conosce, ispira ed aspetta: Egli sarà – se così può dirsi – felice il giorno in cui noi ci volgiamo indietro e diciamo: Signore, nella tua bontà, perdonami. Ecco, dunque, il nostro pentimento diventare la gioia di Dio».

Anche san Giovanni Paolo II affermava che «la Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia […] e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice».

Anche Papa Benedetto XVI disse: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio [...] Tutto ciò che la Chiesa dice e compie, manifesta la misericordia che Dio nutre per l’uomo. Quando la Chiesa deve richiamare una verità misconosciuta, o un bene tradito, lo fa sempre spinta dall’amore misericordioso, perché gli uomini abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (cfr Gv 10,10)».

Sotto questa luce e grazie a questo tempo di grazia che la Chiesa ha vissuto, parlando e discutendo della famiglia, ci sentiamo arricchiti a vicenda; e tanti di noi hanno sperimentato l’azione dello Spirito Santo, che è il vero protagonista e artefice del Sinodo. Per tutti noi la parola  “famiglia” non suona più come prima, al punto che in essa troviamo già il riassunto della sua vocazione e il significato di tutto il cammino sinodale.

In realtà, per la Chiesa concludere il Sinodo significa tornare a “camminare insieme” realmente per portare in ogni parte del mondo, in ogni Diocesi, in ogni comunità e in ogni situazione la luce del Vangelo, l’abbraccio della Chiesa e il sostegno della misericordia di Dio!”.

 

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