13/08/2015, 00.00
CINA
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Pechino, terza svalutazione dello yuan. Timori di una guerra valutaria

I mercati asiatici reggono il colpo. L'Europa brucia 227 miliardi. La Banca centrale del popolo cinese minimizza: “Non ci sono basi economiche o finanziarie perché si continui al ribasso”. Il Vietnam raddoppia al 2% la fascia consentita di oscillazione giornaliera del cambio del dong, le valute di Indonesia e Malaysia ai minimi storici. Delhi teme una guerra fratricida sulle esportazioni.

Pechino (AsiaNews) – La Banca centrale del popolo cinese ha annunciato la terza svalutazione della moneta nazionale in tre giorni consecutivi. Dopo il taglio dell’11 agosto pari al 2% della banda di oscillazione dello yuan rispetto al dollaro, è arrivato il 12 agosto un -1,6%, costato alle Borse europee 227 miliardi di euro. Oggi un nuovo deprezzamento dell’1%, che porta lo yuan renminbi a un cambio con il dollaro americano di 6,4010. In 72 ore, la valuta nazionale cinese ha perso il 4,65% del proprio valore.

Dalla Banca centrale cinese arrivano però rassicurazioni: “Non sono in vista nuovi deprezzamenti”. Il vice governatore Yi Gang è intervenuto in una rarissima conferenza stampa per spiegare che l’obiettivo “è quello di lasciare che sia il mercato a decidere il tasso di cambio della valuta cinese: la Banca si asterrà da interventi regolari sul mercato dei cambi”. Il vice governatore ha aggiunto che il cambio dello yuan verrà mantenuto ad un livello “più o meno stabile” e “ragionevole”. E ha aggiunto: “Sono le leggi del mercato. Segui il mercato, temi il mercato, rispetta il mercato”.

In una nota pubblicata nel pomeriggio, l’istituto finanziario ha cercato di calmare i mercati sottolineando che non esistono “basi” economiche o finanziarie perché il cambio si indirizzi con continuità al ribasso. Riconosce però che potrà verificarsi un “breve periodo di adattamento” al nuovo meccanismo per la fissazione della parità centrale giornaliera.

Il Nikkei giapponese ha assorbito il colpo e, dopo un’incertezza iniziale, ha terminato gli scambi con un rialzo dello 0,99%. L’indice rimbalza e recupera 202,78 punti fino ad attestarsi a quota 20.595,55. Il Kospi sudcoreano è cresciuto dello 0,4%, mentre l’Hang Seng di Hong Kong ha guadagnato lo 0,3. Lieve rimbalzo anche per Sydney (+0,12%), più decisa la Borsa di Singapore (+1,17).

Tuttavia, i timori di una guerra valutaria innescata da queste decisioni non sono infondati. Il Vietnam ha deciso oggi di raddoppiare al 2% la fascia consentita di oscillazione giornaliera del cambio del dong. Intanto la rupia indonesiana e il ringgit malese sono scesi ai minimi da 17 anni nei confronti del dollaro. Un rimpasto governativo in Indonesia cambia oggi i ministri responsabili per l'economia e il commercio. La rupia indiana è vicina ai minimi da due anni, il dollaro australiano ai minimi da sei anni nei confronti del biglietto verde. Secondo gli analisti del Credit Suisse, l'indebolimento dello yuan potrebbe indurre la Banca del Giappone a introdurre ulteriori stimoli monetari. Per Bnp Paribas non si può escludere una svalutazione tra il 5 e il 10% dello yuan prima che la banca centrale intervenga per mettere il freno.

La comunità finanziaria e quella politica della comunità internazionale hanno reagito in maniera diversa alle scelte operate da Pechino. Il Fondo monetario internazionale ha “dato il benvenuto” all’operazione, considerata un preambolo per la libera fluttuazione dello yuan; il Tesoro americano ha dichiarato che “è troppo presto per dare un giudizio, ma continueremo a tenere alta l’attenzione” sulle scelte economiche cinesi.

Il governo sudcoreano è intervenuto attraverso il ministro delle Finanze, Choi Kyung-hwang: “E’ una mossa positiva per noi e per le nostre esportazioni, dato che la maggior parte dei prodotti che inviamo in Cina sono prodotti intermedi e considerato che non abbiamo rivalità dirette con le merci cinesi”. Delhi ha invece espresso il timore che la svalutazione possa colpire il proprio import-export: “Se Pechino continua così – ha dichiarato il ministro Rajiv Mehrishi – la sua produzione industriale crescerà, mentre calano i prezzi. È difficile quantificare l’impatto”.

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