23/08/2012, 00.00
MYANMAR
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Ramadan in Myanmar: moschee chiuse e divieto di preghiera per i Rohingya

Per tutto il mese sacro di digiuno islamico, le autorità hanno messo i sigilli ai luoghi di culto. Nemmeno la festa finale di Eid ul-Fitr ha portato alla riapertura. Musulmani birmani e attivisti: “pressioni” sui musulmani perché lascino il Paese. Hrw: persecuzione “sponsorizzata dallo Stato”.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) - Le forze di sicurezza birmane dello Stato Rakhine, teatro di violenti scontri interreligiosi nelle scorse settimane, hanno impedito l'accesso alle moschee alla minoranza musulmana Rohingya durante il Ramadan, il mese sacro per l'islam dedicato al digiuno e alla preghiera. Il provvedimento, raccontano fonti bene informate della zona, è scattato la terza settimana di luglio in concomitanza con l'inizio del periodo di digiuno ed è tuttora in vigore, nonostante la festa di Eid ul-Fitr lo scorso fine settimana abbia segnato la fine del Ramadan. Alcuni testimoni precisano che il blocco ha interessato quasi tutte le 500 moschee sparse nello Stato occidentale del Myanmar, dove resta alta la tensione confessionale e le autorità mantengono elevato il livello di allerta nel timore di nuovi scontri.

In un'intervista al South China Morning Post (Scmp) Kalimullah, 60enne Rohingya dello Stato Rakhine, racconta che "all'inizio del Ramadan, i Nasaka [Guardie di frontiera birmane, ndr] hanno messo i sigilli a sei moschee nel vicinato" e minacciato di "arrestare o sparare" a chiunque "tentasse di entrare per pregare". L'uomo aggiunge che i fedeli della minoranza musulmana birmana hanno sperato a lungo che i luoghi di culto "fossero aperti almeno per la festa di Eid", che segnava la fine del mese sacro. "Ma - continua - non l'hanno fatto. E sappiamo che in nessuna moschea dello Stato Rakhine si è potuto tenere una preghiera per la festa".

Invece di allentare la morsa per la festa di Eid ul-Fitr, le autorità birmane hanno rafforzato i controlli e le maglie della sicurezza. Ufficiali e funzionari hanno visitato i diversi villaggi abitati da musulmani Rohingya, intimando loro di non partecipare a preghiere di massa per la festa; guardie e poliziotti hanno presidiato i tradizionali luoghi di incontro, per impedire assembramenti.

Human Rights Watch (Hrw) definisce il dramma vissuto dai Rohingya alla stregua di una "persecuzione sponsorizzata dallo Stato" birmano, che porta a una progressiva distruzione della cultura e delle proprietà della minoranza musulmana. Kalimullah aggiunge un particolare significativo: negli ultimi tempi le forze di sicurezza birmane hanno invitato i Rohingya a "praticare la fede al di fuori del Myanmar". Nurul Islam, attivista che vive in Bangladesh, conferma che si moltiplicano le "pressioni" per spingere la minoranza "ad abbandonare il Paese".

A giugno la Corte distrettuale di Kyaukphyu, nello Stato di Rakhine ha condannato a morte tre musulmani, ritenuti responsabili dello stupro e dell'uccisione a fine maggio di Thida Htwe, giovane buddista Arakanese, all'origine dei violenti scontri interconfessionali fra musulmani e buddisti (cfr. AsiaNews 19/06/2012 Rakhine, violenze etniche: tre condanne a morte per lo stupro-omicidio della donna). Nei giorni seguenti, una folla inferocita ha accusato alcuni musulmani uccidendone 10 che viaggiavano su un autobus ed erano del tutto estranei al fatto di sangue. La spirale di odio, sfociata in una vera e propria guerriglia e ha causato la morte di altre 29 persone, di cui 16 musulmani e 13 buddisti, altri 38 i feriti. Secondo le fonti ufficiali sono andate in fiamme almeno 2600 abitazioni; centinaia i profughi Rohingya che hanno cercato rifugio sulle coste del Bangladesh, ma sono stati respinti dalle autorità di Dhaka.

 

 

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