15/05/2015, 00.00
PALESTINA - VATICANO
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Sante palestinesi, fiamma d’amore che illumina i cristiani perseguitati del Medio oriente

di Fady Noun 

Il 17 maggio papa Francesco canonizzerà Maria Alfonsina Danil Ghattas e Mariam Bawardi. Le due religiose esempio del legame fra Dio e i suoi santi, fondato su amore e servizio. Il monito del patriarca emerito Sabbah: "Il cristiano non deve fuggire la storia, espressione della volontà di Dio”. Per la Chiesa d’oriente il 19mo secolo è quello dei santi; il 20mo è il secolo dei martiri.

Beirut (AsiaNews) - La canonizzazione, domenica 17 maggio in piazza San Pietro, delle due “Marie”, le religiose palestinesi Maria Alfonsina Danil Ghattas e Mariam Bawardi, mette in luce per tutti i cristiani e le cristiane d’Oriente l’essenza della fede al di là del folclore, dell’arte, della cultura, della liturgia. E va anche oltre i valori che sono il fondamento della modernità, come la libertà e il concetto di persona, supera la geopolitica, la santità di vita, in altre parole è la consacrazione di una vita a Dio in Gesù Cristo. 

Vissuta in pienezza da due donne dalla vita e dal temperamento assai diverso, questa consacrazione in fondo è la medesima per l’una e per l’altra: l’amore di Dio. Un amore appassionato ed esclusivo, che Gesù ha saputo ispirare nel corso dei secoli a migliaia di uomini e di donne, fra cui emergono alcuni “grandi” santi e sante, di cui le due che verranno canonizzate domenica hanno la fortuna di esserne parte. Perché loro? In questo vi è un mistero elettivo, un legame segreto fra Dio e i suoi santi. 

Ciò che è incontrovertibile, quello che è certo, è che il fondo della santità, la sua sostanza, è l’amore. È inutile cercare la santità in una perfezione formale della vita, nell’ascetismo, cercare di scorgerla in un viso compassato, come sono soliti fare i registi quando girano una scena. La santità è fatta solamente - sì, solamente! - della fiamma dell’amore, che arde dentro un uomo o una donna, trasformandoli in ricettacoli consacrati in modo totale ed esclusivo al servizio di un solo Santo, al servizio dell’Altro che si è fatto nostro fratello. 

Due “donne di fede”

Maria Alfonsina Danil Ghattas (1843-1927), il cui nome di battesimo è Sultanah Maria Ghattas, è nata a Gerusalemme il 4 ottobre 1843. Cresciuta all’interno di una famiglia cattolica e praticante, a 14 anni ha fatto il suo ingresso nella Congregazione delle suore di S. Giuseppe dell’Apparizione. In seguito alle numerose apparizioni della Vergine Maria, e rispondendo a una precisa richiesta di quest’ultima, la religiosa fonda insieme al padre spirituale la Congregazione delle Suore del Santo Rosario. Oggi questa congregazione è ben radicata in Libano e in molte aree del Medio oriente, in particolare la Palestina e l’Iraq. 

A dispetto di alcune preoccupazioni derivanti dalla sua salute, Madre Maria Alfonsina partecipa in modo attivo allo sviluppo della sua congregazione e fonda numerosi conventi. Oltre a questa intensa attività, la suora sarà conosciuta nella regione per essere una “grande donna di fede”, cui sono attribuiti diversi miracoli. Il prodigio più ricorrente che le viene associato è l’aiuto che ha fornito a una giovane caduta in un pozzo, salvata porgendole il suo rosario! La religiosa ha concluso i suoi giorni a Gerusalemme, ritirandosi in preghiera e morendo all’età di 84 anni il 25 marzo 1927, festa dell’Annunciazione. 

Mariam Bawardi - il cui nome da religiosa è suor Mariam di Gesù Crocifisso - è nata il 5 gennaio 1846 ad Abellin, in Galilea, ed è morta 32 anni più tardi il 26 agosto 1878, festa della Transverberazione di S. Teresa d’Avila, al carmelo di Betlemme. La sua vita è stata una traiettoria incandescente. Nata a Bawardi, da una famiglia greco-cattolica di origine libanese come la stessa Ghattas, a soli tre anni e a pochi giorni di distanza perde sia la madre che il padre. La bambina è affidata a uno zio paterno, che è in partenza per Alessandria d’Egitto. All’età di 13 anni, per sottrarsi alle pressioni di suo zio che vorrebbe costringerla a sposarsi, fugge dal domicilio familiare. La raccoglie un musulmano, ma come oppone un netto rifiuto alla prospettiva di rinnegare la propria fede cristiana, l’uomo la sgozza e l’abbandona, dandola per morta, in una via di Alessandria. Mariam si risveglia in una grotta, all’interno della quale una religiosa vestita di blu per diversi mesi si prodiga nel curarle la ferita! Ella confiderà qualche tempo più tardi di aver riconosciuto in questa donna la Vergine Maria. Di questo terribile episodio manterrà i segni ben visibili di una profonda cicatrice. E da quel momento, essendo rimasta sola al mondo, Mariam lavora come cameriera là dove il destino la porta: Alessandria, Gerusalemme, Beirut e infine a Marsiglia.

Arrampicata su un tiglio…

A 19 anni, dopo aver convinto i suoi datori di lavoro grazie alle sue sorprendenti virtù, la giovane entra come novizia nelle suore di S. Giuseppe dell’Apparizione, prima di essere indirizzata al carmelo di Pau, dove le viene assegnato il nome di suor Mariam di Gesù Crocifisso. Tre anni più tardi fa parte di un piccolo gruppo che parte per fondare il primo carmelo a Mangalore (India). Nel 1875 è la volta della fondazione del carmelo di Betlemme. La religiosa si occupa in particolare dei lavori di costruzione del nuovo convento, visto che era la sola capace di parlare arabo. Muore il 26 agosto 1878 a soli 32 anni, in seguito a una caduta che ha causato la frattura di un braccio e susseguente cancrena.

Secondo i racconti di chi l’ha conosciuta, grazie mistiche e carismi abbondano nella vita di questa religiosa. All’interno del recinto del carmelo di Pau, le carmelitane l’hanno vista più volte arrampicata sulla cima di un tiglio, sostenendosi su rami troppo sottili per sopportarne il suo peso. Alcuni raccontano di averla vista a Cipro, mentre lei si trovava in quel momento anche a Betlemme. Analfabeta, ella ha composto diverse poesie in francese.

Sabbah: “Non fuggire la storia”

Per la canonizzazione delle due Marie, è necessario ricordare il commovente discorso pronunciato qualche anno fa all’università di San Giuseppe a Beirut dal patriarca emerito dei Latini di Gerusalemme, Michel Sabbah. 

Ancor prima che emergesse il disegno dello Stato islamico, e al di là delle generalizzazioni che si sentono ogni volta che emerge la questione della presenza cristiana in Medio oriente, superando le lamentele per il crescente estremismo e il calo demografico dei cristiani, sia per l’emigrazione che per la minore natalità, il vecchio patriarca di Gerusalemme ha saputo andare all’essenziale. Egli ha affermato che ciò di cui hanno bisogno le Chiese del Medio oriente per restare in questo angolo di mondo sono i santi e i martiri. 

“Il futuro dei cristiani nella nostra regione è condizionato da fattori interni, politici e sociali nei quali la religione esercita la propria influenza”, sottolineava con correttezza nel suo discorso il patriarca Sabbah “ma anche da un fattore esterno potente: la politica internazionale, che nei piani per la regione non tiene in alcun conto i cristiani”. 

Dopp aver fatto “tutto ciò che è umanamente possibile per difendersi, ricorrendo ai mezzi legittimi a disposizione”, se la minaccia continua a gravare su di lui, che il cristiano d’Oriente accetti di “vivere la sua storia”, aveva affermato con coraggio, non senza sollevare mormorii. “Fuggire la storia, significa fuggire la volontà di Dio. La storia è il luogo del nostro incontro con Dio”. In Oriente, il 19mo secolo ha fornito dei santi. Il 20mo secolo ha l’onore di aver dato dei martiri, come si è iniziato a vedere in Siria, in Iraq, in Libia, in Etiopia, in Egitto e altrove.  

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