11/10/2013, 00.00
MEDIO ORIENTE
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Scacchiere Medio Oriente: la partita a quattro che deciderà il futuro

di Fady Noun
L’accordo sulle armi chimiche siriane fra Russia e Stati Uniti e il riavvicinamento fra Washington e Teheran hanno mescolato le carte nella Regione. La telefonata che “ha cambiato tutto” fra Obama e Rouhani. I fronti in lotta sono liquidi e con intrecci reciproci. Soddisfazione dei cristiani per un possibile spiraglio di pace, frutto della mano di Dio “nella storia degli uomini”.

Beirut (AsiaNews) - L'accordo sulle armi chimiche di Damasco fra gli Stati Uniti e la Russia, seguito da un riavvicinamento tra Washington e Teheran sul programma nucleare iraniano, comportano un rimescolamento delle carte in Medio oriente. Per una migliore lettura degli avvenimenti, ecco qui sotto, in maniera schematica, secondo quanto illustra uno specialista della Regione, una descrizione delle forze presenti in campo, definita come una "partita a quattro".

Su di un piano regionale, sono quattro i gruppi di forza contrapposti:

1)      Francia/Israele/Giordania/Davutoglu (ministro turco degli Esteri)/Bandar ben Sultan (Arabia Saudita e i suoi vicini: Bahrain, Emirati Arabi Uniti...)/al-Qaida in Iraq e in oriente/Wahabiti libanesi e gli esponenti del movimento del 14 marzo.

2)      Erdogan (Primo Ministro della Turchia)/Fratelli musulmani in Egitto, Siria (Cns-Als) e in Libano/i palestinesi di Hamas

3)      Gli Stati Uniti

4)      Il clan Russia/Assad (presidente siriano)/Iran/Iraq/Hezbollah/Jihad islamica in Palestina

A questi elementi di base, vanno aggiunge alcune piccole precisazioni - o sfumature - supplementari fornite sempre dalla fonte sopracitata:

-          Il medesimo attore può essere parte integranti di diversi gruppi, oppure passare dall'uno all'altro a seconda delle circostanze.

-          Gli inglesi giocano un ruolo sottile: di base, essi lavorano per il Gruppo 1(Israele), ma essi preferiscono restare nascosti, apparire in ritirata, e si dicono pronti a sparire se Washington (in teoria del Gruppo numero 3) glielo chiede.

-          Il re dell'Arabia Saudita Abdallah si affida a Bandar ben Sultan, il capo dei Servizi segreti del regno, ma se Barack Obama (del Gruppo 3) glielo domanda, sua Maestà darà gentilmente il benservito a Bandar.

-          Il generale Al Sissi - comandante in capo delle Forze armate egiziane - ha un piede in Arabia Saudita (Gruppo 1), un altro a Washington (Gruppo 3) e un terzo ancora a Damasco (Gruppo 4).

-          Recep Tayyip Erdogan, contro il volere del suo stesso partito, l'Akp (Partito per la giustizia e lo sviluppo), è intimamente legato e solidale con i Fratelli musulmani di tutto il mondo arabo. Tuttavia, egli ha concesso ampi poteri al suo ministro degli Esteri Davutoglu, che ha infiltrato in Siria e in Iraq gruppi miliziani combattenti di al-Qaeda (fra cui islamisti della rete del terrore, originari del Pakistan), per combattere l'esercito siriano e le milizie curde. Detto questo, gli Americani (del terzo Gruppo) hanno a disposizione tutti i mezzi per far ragionare Davutoglu ed Erdogan dato che le forze di polizia, i servizi segreti e lo stesso Akp turco sono al loro interno "infiltrati" da elementi politico-religiosi molto vicini alle posizioni degli Stati Uniti.

-          Il Qatar ha dei legami privilegiati - anche se solo di natura tattica - con i Fratelli musulmani (Gruppo 2), potendo vantare delle relazioni non negoziabili con Israele (Gruppo 1). In definitiva, Doha dipende fondamentalmente dagli Stati Uniti (Gruppo 3), i quali possono in qualsiasi momento suonare la fine della ricreazione.

Dopo l'accordo sulle armi chimiche in Siria, seguito da un avvicinamento fra il presidente americano e l'omologo iraniano, la dinamica delle alleanze e delle contrapposizioni andrà certamente rivista.

La telefonata che ha cambiato tutto

Alcune fonti diplomatiche a Beirut, citate da Scarlett Haddad nel quotidiano francofono libanese L'Orient-Le Jour, hanno fornito nei giorni scorsi dei dettagli ulteriori sulla "conversazione telefonica che ha cambiato tutto" fra il presidente Obama e il presidente iraniano Rouhani, avvenuta a margine dei lavori dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.

Secondo la fonte sopracitata, la conversazione fra i due uomini politici ha avuto luogo in inglese, fatto salvo per alcune formule di cortesia pronunciate in farsi dal presidente americano. La conversazione fra i due si è subito indirizzata sul dossier nucleare iraniano e Obama ha riconosciuto il diritto dell'Iran di usare l'energia nucleare in modo pacifico e per scopi civili. Di contro, l'omologo iraniano Rouhani ha subito risposto: sono ormai diversi anni che noi lo ripetiamo, ma voi [Stati Uniti] non avete mai voluto crederci. E Obama ha rilanciato affermando: questa volta, io ho ascoltato la fatwa (editto religioso) della guida della rivoluzione islamica, l'ayatollah Ali Khamenei, nella quale mette al bando l'uso del nucleare per finalità di natura militare. Quindi, Rouhani ha aggiunto: se voi siete di parola, scegliete una persona di fiducia che possa discutere con noi a fondo di tutta questa questione.

Ora, come tutti sanno, il seguito di questo dossier è ormai già nelle mani del ministro iraniano degli Affari esteri Mohammad Jawad Zarif e del segretario di Stato Usa John Kerry - capo della diplomazia di Washington - che si sono scambiati da quel momento una calorosa stretta di mano a New York. Se tutto procede per il verso giusto, i negoziati fra i due Paesi non dovrebbero andare oltre l'anno di durata.

Certo, il riavvicinamento fra Stati Uniti e Iran non è gradito in tutto il mondo, così come non è ben visto nemmeno in Iran dove - al contrario - ha scatenato l'ostilità (sebbene solo apparente, secondo alcuni) dei Guardiani della Rivoluzione. E nemmeno... in Israele, dove il premier Benjamin Netanyahu, convinto che gli iraniani stiano solo facendo il giochetto della "taquiyya" (la politica di dissimulazione di natura religiosa), continua ad agitare lo spettro del nucleare iraniano e del giocare alla guerra. Resta comunque il fatto che, per il momento, questo riavvicinamento delle posizioni ha provocato un allentamento della tensione sul piano regionale, ivi compresa la Siria, anche se esso non ha di certo messo la parola fine alla guerra. Il fronte dei ribelli siriani (compresi nel Gruppo 2), da parte sua, non nasconde il proprio disappunto contro quello che considera come uno "scivolone" e non perde occasione per dire che ne ha approfittato chi è al potere, il regime siriano.

In Libano, sul fronte dei cristiani, questo repentino cambiamento di prospettive nel quadro della crisi regionale, al netto di tutte le sue ambiguità e delle sue incertezze, è stato accolto con favore. Esso è associato in modo aperto da alcune personalità religiose all'appello lanciato da papa Francesco il 7 settembre scorso, in occasione della giornata di digiuno e preghiera per la pace in Siria, in Medio oriente e in tutto il mondo. Milioni di cristiani in tutto il mondo hanno osservato con profondo rispetto e devozione questa giornata, alla quale si sono uniti anche fedeli di altre religioni - fra cui i musulmani - e persino alcuni atei. Spesso la Provvidenza prende in prestito "la voce degli uomini", sottolineano alcune personalità che si rifanno agli insegnamenti di Giovanni Paolo II, il quale invitava a leggere "l'azione di Dio nella storia degli uomini". 

 

 

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