16/11/2016, 12.14
MYANMAR
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Scontri e violenze contro i Rohingya. Card. Bo: Fermate la guerra

Da ottobre sono almeno 60 i musulmani uccisi dall’esercito nello Stato. Impedita l’entrata di aiuti umanitari e osservatori indipendenti. Arcivescovo di Yangon: “L’unica religione di cui il Myanmar ha bisogno ora è la pace”.

Yangon (AsiaNews) – Come rappresentanti di tutte le religioni che vivono in Myanmar “ci appelliamo ai nostri compatrioti e compatriote, ai nostri leader politici, ai nostri capi dell’esercito e dei gruppi armati, affinché cerchino il sentiero della riconciliazione e facciano della pace la religione comune di tutti noi”. È la richiesta avanzata dal card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, preoccupato dalle recrudescenze del conflitto in atto fra esercito governativo (Tatamaadaw) e gruppi ribelli nello Stato Rakhine (ovest del Paese).

Negli ultimi giorni sono aumentati gli scontri fra il Tatmadaaw e quello che i soldati definiscono “un gruppo militante di musulmani Rohingya”. Il 14 novembre fonti governative hanno reso nota la morte di almeno 30 combattenti islamici. I Rohingya sono una minoranza musulmana (poco più di un milione di persone) originaria del Bangladesh, alla quale il Myanmar non riconosce la cittadinanza e i cui membri abitano in campi profughi in più parti del Paese.

Le operazioni dell’esercito si sono concentrate nell’area di Maungdaw, al confine con il Bangladesh. Le forze di sicurezza hanno isolato la regione impedendo l’ingresso di aiuti umanitari e di osservatori indipendenti. Dall’inizio di ottobre, il bilancio parla di 60 Rohingya morti e 17 soldati governativi deceduti. Il Tatmaadaw continua a passare di villaggio in villaggio ripulendo il territorio dagli elementi ribelli. Si tratta degli scontri peggiori nello Stato dal 2012, quando i morti furono centinaia.

Residenti e attivisti per i diritti umani denunciano l’esercito, colpevole di esecuzioni sommarie, stupri e incendi dolosi. Secondo Human Rights Watch, almeno 430 case di rifugiati Rohingya sarebbero state date alle fiamme senza motivo.

Ad un mese dall’ultimo appello per la cessazione dei conflitto (in corso anche nello Stati Kachin e Karen), il card. Bo è tornato a denunciare “l’incubo della guerra che continua. Ci sono più di 200mila sfollati nella loro terra […] e questo causa traffico umano, la minaccia della droga e ulteriore violenza nelle comunità”.

Il Myanmar è composto 135 etnie che hanno sempre faticato a convivere in maniera pacifica con il governo centrale e la sua componente di maggioranza birmana. Dopo l’armistizio firmato dall’esercito con diversi gruppi ribelli nell’ottobre 2015, i dialoghi di pace sono ripresi a fine agosto durante la conferenza di Panglong (voluta da Aung San Suu Kyi), che per ora non ha dato i risultati sperati.

Queste guerre, scrive l’arcivescovo di Yangon, “non si possono vincere. Più di 60 anni di conflitto lo hanno dimostrato. Esse hanno inflitto una sofferenza cronica a migliaia di persone e impedito lo sviluppo umano”. Ci appelliamo, conclude il card. Bo, “ai politici della Lega nazionale per la democrazia [Nld, partito guidato da Aung San Suu Kyi ndr], ai partiti politici etnici e ai gruppi della società civile perché cerchino una risoluzione consensuale dei conflitti. Ci appelliamo ai leader religiosi perché siano strumenti di pace. Il Myanmar ha bisogno di una sola religione oggi, ed è la pace”.

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