29/09/2016, 11.53
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Sinodo caldeo: in un contesto di guerra e violenze, testimoni di Cristo con amore e speranza

Nell’Anno giubilare della misericordia i vescovi caldei rilanciano l'importanza dell'evangelizzazione. Fra gli obiettivi, la valorizzazione del ruolo dei laici e l’invito al diaconato e al sacerdozio agli sposati. Ai sacerdoti e monaci ribelli l’ordine di rientrare nelle diocesi originarie. La preghiera di pace per Aleppo e la Siria. 

Erbil (AsiaNews) - Nell’Anno giubilare della Misericordia, la Chiesa caldea deve mostrare “senso di responsabilità, amore e speranza”; un richiamo indirizzato “a tutti i sacerdoti, monaci, suore e fedeli” a cui spetta il compito di “testimoniare Cristo e i suoi insegnamenti”. Con questo rinnovato invito all’evangelizzazione, contenuto nel documento finale e inviato per conoscenza ad AsiaNews, si è concluso il Sinodo in programma dal 22 al 27 settembre ad Ankawa, sobborgo cristiano di Erbil, nel Kurdistan irakeno. Ogni vescovo, spiega la dichiarazione finale, dovrebbe valutare il tema “dell’ordinazione di sacerdoti e diaconi sposati”, selezionando fra quanti mostrano “qualità spirituali, culturali, pastorali” e preparandoli “con un percorso approfondito”. 

All’incontro guidato da sua Beatitudine mar Louis Raphael Sako hanno partecipato 20 vescovi caldei provenienti da Iraq, Siria, Iran, Libano, Stati Uniti, Canada e Australia. Unico assente mons. Sarhad Jammo, emerito della  diocesi di san Pietro Apostolo a San Diego, negli Stati Uniti, protagonista in passato di un durissimo scontro con il patriarcato per la questione dei sacerdoti e monaci ribelli.

Un muro contro muro durato a lungo e che aveva innalzato la tensione in seno alla Chiesa caldea, tanto da far ipotizzare un mini-scisma. Dal Sinodo sono emersi tre nomi per la successione alla guida della diocesi ribelle, inviati a papa Francesco per la scelta finale. Restano invece in sospeso le nomine per le diocesi vacanti, rimandate al prossimo Sinodo anche per capire l’evoluzione della situazione a Mosul. 

Uno dei punti della dichiarazione finale riguarda proprio i sacerdoti e monaci ribelli. “Il Sinodo - si legge nella nota - ha deciso che preti e monaci che hanno abbandonato diocesi e monasteri senza il permesso formale devono lasciare immediatamente le loro attuali diocesi”. Il loro comportamento, avverte il Sinodo, è fonte “di dubbi” fra i fedeli; prima di rientrare nella posizione originaria essi devono svolgere “un mese o due di riabilitazione”. 

Assieme al richiamo a una “maggiore partecipazione dei laici alla vita della Chiesa”, il Sinodo caldeo pone particolare attenzione “alle vocazioni sacerdotali e monastiche”. Vi sono “sfide e ostacoli” come “l’immigrazione, il controllo delle nascite, i social media, l’instabilità del Paese, i modelli guida” che vanno approfonditi, per rispondere alle domande poste dai fedeli. Al riguardo è necessario “focalizzare” l’attenzione su “una formazione sostenibile” a livello “psicologico e pedagogico”. 

Implorando la pace per l’Iraq e la liberazione di tutte le aree ancora nelle mani dei gruppi jihadisti fra cui lo Stato islamico (SI), così da “favorire il ritorno degli sfollati nelle loro case”, i vescovi hanno pregato in comunione e solidarietà con mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo. Dalla Chiesa caldea giunge un “rinnovato appello per la fine della guerra in Siria” e la richiesta di un “dialogo proficuo che permetta di raggiungere una soluzione politica e pacifica al conflitto”. 

Nella dichiarazione finale si rinnova l’impegno al sostegno della famiglia, seguendo le indicazioni tracciate da papa Francesco nell’Esortazione apostolica "Amoris Laetitia". Da ultimo, la Chiesa caldea ha inviato in Vaticano il nuovo messale caldeo per l’approvazione e un documento per promuovere la pratica di beatificazione e canonizzazione dei martiri caldei. 

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