23/10/2012, 00.00
VATICANO
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Vatileaks: Gabriele ha danneggiato il Papa e la Chiesa, agì da solo, ma l'inchiesta continua

Pubblicata la sentenza che ha condannato l'ex cameriere di Benedetto XVI a un anno e sei mesi di reclusione. "Possibile e probabile" la grazia papale. Il 5 novembre il processo a Sciarpelletti. "Censurabile" l'indicazione data a Gabriele dal suo "padre spirituale", don Giovanni Luzi, di negare le proprie responsabilità. Non c'è stata "una forza esterna che l'ha indotto all'azione criminosa".

Città del Vaticano (AsiaNews) - Non è conclusa in Vaticano l'inchiesta sui "corvi", che avrà il suo prossimo atto nel processo, che si apre il 5 novembre, contro il tecnico informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti, accusato di favoreggiamento, mentre Paolo Gabriele, il cameriere di Benedetto XVI, potrebbe trascorrere la prigionia in Vaticano e non è stato condannato, come sembrava, anche all'interdizione dai pubblici uffici. Per lui la grazia papale "è possibile e probabile, ma non è possibile prevedere nè i tempi nè i modi".

E' stata pubblicata oggi la sentenza del 6 ottobre, con la quale il Tribunale vaticano ha condannato Gabriele a un anno e sei mesi di reclusione. La lettura del documento conferma quanto già anticipato lo stesso giorno, ma evidenzia alcuni particolari. Così, i giudici definiscono "censurabile" l'indicazione data a Gabriele , secondo la testimonianza dell'imputato stesso, dal suo "padre spirituale",  don Giovanni Luzi, di negare le proprie responsabilità in ordine alla fuga di documenti riservati e di "attendere le circostanze e salvo che fosse stato il Santo Padre a chiedermelo di persona di non affermare ancora questa mia responsabilità". Ma con il furto e la diffusione dei documenti Gabriele ha compiuto un'azione "lesiva nell'ordinamento vaticano della persona del Pontefice, dei diritti della Santa Sede, di tutta la Chiesa cattolica e dello Stato della Città del Vaticano".

Non sono invece risultati "elementi di prova certi e convergenti" per confermare una "volontà criminosa volta alla sottrazione" dell'assegno di 100mila euro intestato al Papa, della pepita "presunta d'oro" e dell'antica edizione dell'Eneide, ritrovate in casa di Gabriele.

Nella sentenza emergono anche i nomi di altri due cardinali - oltre a quelli di Angelo Comastri  e Paolo Sardi, già citati nel corso del dibattimento - che vengono fatti a proposito della decisione del tribunale di "non accogliere" la richiesta della difesa mirante a ottenere la convocazione dei cardinali Ivan Dias e Georges Marie Martin Cottier da parte della Commissione cardinalizia creata dal Papa per indagare sulle fughe di notizia. Ciò in quanto "esorbitante dai poteri del Tribunale".

A proposito di nomi fatti nel corso dell'inchiesta e del processo, nella sentenza se da un lato si afferma che "non risultano prove della correità e della complicità" di altri, ma si aggiunge che "del resto ulteriori indagini sono in corso circa la sussistenza di altre eventuali responsabilità nella fuga di documenti riservati".

"Quanto poi all'eventuale sussistenza di un determinatore od istigatore al reato", a proposito delle affermazioni di Gabriele "sono stato suggestionato da circostanze ambientali" e "in ambito personale ho avuto contatti con molte persone" la sentenza precisa che il termine suggestione "non ha una valenza oggettiva, con riferimento cioè ad una forza esterna che l'ha indotto all'azione criminosa. Quel termine ha invece una valenza tutta soggettiva, nel senso che dalla molteplicità di persone che aveva l'occasione di incontrare o che determinavano l'incontro con lui veniva ad avere una serie di informazioni sugli ambienti di riferimento, che avrebbero alla fine condotto al convincimento soggettivo, ma erroneo, di dover fare qualcosa di dirompente a difesa del Santo Padre e della Chiesa". È poi "comprensibile che il Gabriele avesse contatti con molte persone, per intuibili ragioni di ufficio; né si deve sottovalutare il fatto che, proprio per la sua prossimità al Santo Padre, fosse un interlocutore ricercato".

La sentenza, infine, nota che "Le dichiarazioni dell'imputato presentano qualche contraddizione, per esempio laddove afferma di aver fatto solo due copie (quella data al Nuzzi e quella data al confessore), quando invece di molti documenti si è trovata anche una terza copia, reperita nel corso della perquisizione dell'abitazione vaticana e sequestrata; o laddove afferma di avere effettuato le fotocopie durante l'orario di ufficio, mentre, sempre in dibattimento, dichiara: "preciso che non c'era un orario prestabilito".

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