06/10/2012, 00.00
VATICANO
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Vatileaks: condanna a un anno e sei mesi di reclusione per Gabriele, ha agito da solo

E' stato riconosciuto colpevole di furto aggravato, con la concessione delle circostanze attenuanti. L'avvocato difensore ha definito "equilibrata" la condanna. L'imputato ha detto: "La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di aver agito per amore esclusivo, direi viscerale, per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile. E' questo che mi sento. Se mi devo ripetere, non mi sento un ladro".

Città del Vaticano (AsiaNews) - Un anno e sei mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali: è questa la decisione presa oggi dal Tribunale vaticano nei confronti di Paolo Gabriele, l'ex cameriere di Benedetto XVI, che è stato riconosciuto colpevole di furto aggravato, con la concessione delle circostanze attenuanti.

Il promotore di giustizia Nicola Picardi - in pratica il pubblico ministero - aveva affermato che Gabriele ha agito senza complici né correi e aveva chiesto una condanna a tre anni di reclusione. In assenza di precedenti in Vaticano, il promotore è ricorso alla giurisprudenza italiana per stabilire che le pene relative ai tre capi di imputazione contemplati (furto semplice, aggravato e qualificato) non si sommano. La condanna è quindi stata decisa tenendo conto del capo di imputazione per furto aggravato (pena fino a quattro anni) e delle attenuanti generiche (sconto di un anno). Accessoria è l'interdizione perpetua, ma parziale dell'imputato: ovvero la possibilità per lui di continuare a lavorare in Vaticano, ma non in uffici che comportano "l'uso di potere giudiziario, amministrativo e legale". Nella riduzione della pena è stato tenuto conto degli anni di servizio precedenti al furto e delle motivazioni "seppure erronee, che lo hanno spinto ad agire per il bene della Chiesa e del Papa, l'ammissione di aver danneggiato il Santo Padre".

Da parte sua, il difensore, Cristiana Arru, aveva chiesto la derubricazione del capo di imputazione da furto a appropriazione indebita e il conseguente rilascio dell'imputato. Il difensore aveva sostenuto esserci state delle ''falle nella procedure'' seguita nell'istruttoria giudiziaria. L'avvocato ha indicato fatti come la mancanza di guanti dei gendarmi che hanno perquisito la casa di Gabriele. "Hanno toccato i documenti con le mani rendendo impossibile fare una perizia dattiloscopica" sulla pepita presunta d'oro ritrovata nell'appartamento. Inoltre, non è stato fatto un inventario dei documenti ritrovati, non sono state fatte foto durante la perquisizione e manca il verbale del "ritrovamento dell'assegno da 100mila euro intestato al papa e della pepita", che sono stati fatti vedere al segretario di Benedetto XVI, mons. Georg Gaenswein, senza autorizzazione del giudice.

Lo stesso avvocato, dopo la sentenza, ha definito "equilibrata" la condanna, aggiungendo che un eventuale ricorso in appello sarà valutato "in un secondo momento" e che "Gabriele per ora va a casa". Quest'ultima affermazione si riferisce al fatto che il tribunale deve ancora se e quando Gabriele sarà incarcerato. Per ora l'ex cameriere è tornato nella sua casa in Vaticano, dove peraltro sta da mesi con un regime analogo agli arresti domiciliari.

Lo stesso Gabriele, prima della sentenza, alla domanda del giudice: "si considera colpevole o innocente?" aveva ripetuto di non ritenersi un ladro. "La cosa che sento forte dentro di me - ha detto - è la convinzione di aver agito per amore esclusivo, direi viscerale, per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile. E' questo che mi sento. Se mi devo ripetere, non mi sento un ladro".

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