11/03/2021, 12.33
SIRIA
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Vicario di Aleppo: guerra e sanzioni hanno distrutto il mosaico siriano

Nel decimo anniversario dall’inizio del conflitto mons. Abu Khazen racconta una nazione “lacerata” e un popolo “in condizioni di povertà e disperazione”. Un Paese ricco di gas, frumento e petrolio in cui le famiglie vivono con 30 dollari al mese. Fondamentale l’aiuto della Chiesa e delle ong. Il papa in Iraq fonte di speranza.

Aleppo (AsiaNews) - La Siria “è una nazione lacerata, a pezzi, cui manca un po’ di tutto e il popolo vive in condizioni di estrema povertà e di crescente disperazione”.  È il grido d’allarme lanciato ad AsiaNews dal vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui la gente “avrebbe voluto celebrare non l’anniversario della guerra” a 10 anni dall’inizio, ma “l’anniversario della pace e della riconciliazione, invece va tutto al contrario”. Inoltre, le sanzioni internazionali e il Caesar Act imposto dagli Usa “hanno contribuito a peggiorar la situazione”. 

“Da tempo - racconta mons. Abu Khazen - non distribuiscono più gasolio alle famiglie, in pochissime hanno ricevuto 100 litri, poi le scorte si sono esaurite. Adesso hanno anche cessato di distribuire il gas da cucina, per il quale bisogna aspettare fino a 60 giorni. Per 20 litri di benzina si resta in coda anche due giorni al distributore, abbandonando la macchina in attesa del rifornimento, e lunghe file - anche di ore - sono necessarie per l’acquisto di un po’ di pane a prezzo calmierato”. 

“Senza viverle sulla propria pelle, non è possibile immaginare le difficoltà che è costretta a subire la povera gente” denuncia il vicario apostolico di Aleppo. “Anche l’elettricità è diminuita e viene erogata solo una o due ore al giorno. Questa è la condizione generale di tutto il Paese e dire che la Siria è ricca di petrolio, gas e frumento, ma non può beneficiare di tutto questo, perché le è stato espropriato”. 

Il conflitto è divampato nel marzo 2011 come rivolta popolare nel contesto dei moti di piazza della Primavera araba, che hanno coinvolto alcune nazioni del nord Africa e del Medio oriente. Da scontro interno, esso si è trasformato nella peggiore guerra - per procura fra potenze rivali - del ventunesimo secolo, cui si sono unite derive jihadiste che hanno insanguinato ancor più il Paese. In nove anni si sono registrate quasi 400mila vittime, decine di città sono state rase al suolo e metà della popolazione risulta sfollata interna o profuga in cerca di riparo all’estero.

Ripensando alla Siria prima della guerra, il prelato ricorda “un Paese che stava sperimentando un processo di sviluppo enorme, una realtà di pace, di convivenza, un bel mosaico, un luogo sicuro in cui si poteva andare dappertutto. Anche le ragazze all’una di notte potevano uscire in tutta tranquillità, prendere un taxi e girare senza disturbo”. Il popolo, prosegue, “si ricorda ancora come era prima, ma col passare del tempo sta perdendo la speranza” di tornare ai fasti di un tempo. “E poi ci sono i profughi, sempre più persone dicono di aver sbagliato a restare in Siria e questo è indice di sfiducia generalizzata e di una disperazione diffusa di questa povera gente”. 

A mancare di più, afferma il vicario di Aleppo, “sono gli elementi primari, della vita di tutti i giorni: il gas, la benzina, il pane... la pace! La gente non ha grandi pretese, ma solo la preoccupazione di poter vivere, di andare avanti con un dollaro che prima valeva 50 lire e ora 4mila, mentre la paga è rimasta la stessa. Questo significa che gran parte delle famiglie è costretta a campare con 30 dollari al mese, sotto la soglia di povertà. Senza l’aiuto di varie ong e della stessa Chiesa la gente morirebbe di fame”. A questo si uniscono “le distruzioni, il crollo delle infrastrutture, l’esodo dei profughi per una nazione che ha perso la metà della propria popolazione, le minoranze che soffrono senza che si veda la fine di questo tunnel”. 

In questo dramma, “non vogliamo che finisca la speranza, ma dobbiamo mantenerla viva” afferma mons. Abu Khazen, anche se resta una sfiducia diffusa “per un cammino che non va nella direzione della pace ed è complicato dagli interessi contrapposti“ dei vari attori in gioco: americani, russi, turchi, curdi, arabi. “In questo quadro - aggiunge - chi rischia di pagare un prezzo altissimo sono i cristiani, che sono sempre stati un fattore di unità e di dialogo mentre la Siria viene spinta a passi sempre più spediti verso la partizione, verso una divisione che nessuno di noi vuole e avrebbe effetti devastanti. Ma noi vogliamo che resti unita”. “Uno dei pochi elementi di forza - conclude - è la vicinanza mostrataci in questi anni da Papa Francesco, le cui preghiere sono sempre state elemento di gioia e di coesione. Il viaggio in Iraq ha dato grande speranza anche a noi, speriamo che un giorno possa venire qui in Siria ed essere testimone di pace per celebrare un anniversario che non sia di guerra, ma di vera riconciliazione”.

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