12/07/2016, 13.18
FILIPPINE - CINA
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Isole contese, infondate le rivendicazioni territoriali di Pechino nel mar Cinese meridionale

La Corte permanente ha sciolto il contenzioso avviato dalle Filippine. Secondo i giudici la Cina “non ha alcun diritto” sui territori al centro della controversia. Una sentenza tecnica, ma dal grande significato politico. Una sconfitta per Pechino che ha già fatto sapere di non riconoscere il verdetto. Per il legale di Manila è un “giudizio chiaro e unanime”.

 

L’Aja (AsiaNews) - Nel contenzioso territoriale avviato dalle Filippine, la Corte permanente di arbitrato (Cpa) sulla Legge del Mare ha stabilito che la Cina ha torto; secondo i giudici dell’Aja, Pechino “non ha alcun diritto” sul mar Cinese meridionale e la costruzione di atolli, fari e piste di atterraggio costituisce una violazione del diritto internazionale.

Si tratta di una sentenza di carattere tecnico, senza effetti pratici, ma dal grande significato politico: molte delle attività cinesi nell’area volte a rivendicare il possesso di quasi il 90% dei territori sono infondate e illecite.

In vista della sentenza, da tempo le autorità cinesi hanno lanciato una campagna di boicottaggio dell’arbitrato e dei lavori della Corte. Per Pechino si tratta di un giudizio “privo di fondamento” e senza alcun valore vincolante.

Altre nazioni dell’area potrebbero essere tentate dall’avviare ulteriori contestazioni e mettere ancor più in crisi la politica promossa dalla Cina nell’area. I vertici comunisti non hanno mai voluto avviare una risoluzione della controversia sul piano multi-laterale, privilegiando negoziati diretti con singoli Paesi, durante i quali far valere la propria forza politica, militare e commerciale.

Per il tribunale internazionale la Cina ha violato i diritti e la sovranità nazionale delle Filippine e causato “gravi danni” alla barriera corallina con la costruzione di isole e atolli artificiali. Una decisione basata sulla Unclos, la United Nations Convention on the Law of the Sea, sottoscritta dai cinesi nel 1996; essa prevede un arbitrato dei giudici Onu in caso di contenzioso sollevato da un Paese. Essa ha carattere “vincolante”, sebbene non vi siano gli strumenti per applicare nel concreto le disposizioni.

Philippe Sands, legale per le Filippine all’arbitrato, parla di “giudizio chiaro e unanime”, che sostiene lo Stato di diritto e le rivendicazioni legittime delle Filippine. Questa è, aggiunge, “una sentenza definitiva, si cui tutti gli Stati possono fare affidamento”. Pronta la replica dell’agenzia ufficiale cinese Xinhua, secondo cui l’organismo “non ha alcuna giurisdizione” e le decisioni prese “sono naturalmente nulle e prive di alcuna validità”.

L’annosa disputa nei mari della regione, che si trascina da anni, nasce dalla rivendicazione di Pechino di una fetta consistente di oceano comprendente le isole Spratly e Paracel. Queste zone sono contese da Vietnam, Taiwan, Filippine, Brunei e Malaysia. Lì la Cina ha avviato la costruzione di una serie di isole artificiali con impianti militari, fari e ha compiuto diversi affondamenti di imbarcazioni e pescherecci vietnamiti e filippini, causando un continuo innalzamento della tensione.

Per contrastare la “militarizzazione” cinese nel mare, nel 2014 le Filippine hanno promosso una vertenza internazionale al tribunale dell'Aja. Pechino si è rifiutata di prendere parte al processo, affermando che la Corte non ha alcuna giurisdizione in materia e che la disputa deve essere risolta dai Paesi coinvolti. Nei giorni scorsi Dai Bingguo, ex Consigliere di Stato cinese e diplomatico a Washington, ha affermato che la sentenza dell’Onu sulla questione del mar Cinese meridionale “è solo carta straccia”.

Secondo fonti statunitensi, se la Cina dovesse - come probabile, considerando anche le prime reazioni - ignorare la sentenza sfavorevole, Washington potrebbe stabilire pattugliamenti navali nelle acque contese per garantire la libertà di navigazione. Analisti ed esperti sottolineano il timore degli Stati Uniti che la Cina possa rispondere dichiarando una zona di controllo e difesa aerea nel mar Cinese meridionale, come aveva fatto nel 2013 nel mar Cinese orientale.

 

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