A Betlemme la luce del Natale torna ad accendersi e guarda a Gaza
Dopo due anni di buio, la città dov'è nato Gesù torna a illuminarsi per il Natale. Nella messa della notte, il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa ha riletto il Vangelo alla luce delle ferite della Terra Santa e in particolare di Gaza. E della responsabilità "grande e concreta" di portare la pace di Dio nel mondo: "Il Natale non ci allontana dalla storia, ma ci coinvolge profondamente", ha commentato il cardinale.
Betlemme (AsiaNews) – Dopo due anni di buio e silenzio a causa della guerra, le luminarie sono tornate ad accendersi a Betlemme. In piazza della Mangiatoia l’aria è attraversata da un miscuglio di profumi e lingue: aperte fino a sera tardi ci sono bancarelle che vendono zucchero filato, knafeh caldo, qatayef (dolci tipici palestinesi), ragazzi giovani che ridono famiglie con bambini. Molti sono musulmani, venuti a condividere la festa con i cristiani della città.
Per la prima volta dopo due anni sono tornati anche i pellegrini. Gruppi organizzati dall’Asia (per esempio dalle Filippine) e fedeli arrivati singolarmente indossano cappelli rossi natalizi, scattano foto, si fanno auguri reciproci in tutte le lingue del mondo. Non è tornato il turismo di massa (a Betlemme l'80% dell'economia ruota intorno a questo settore), ma alcuni hotel hanno riaperto. Una speranza fragile e commovente anima la popolazione locale.
Diversi pellegrini hanno partecipato anche alla messa di mezzanotte nella chiesa di Santa Caterina, gremita come non accadeva da tempo. Gli scout palestinesi che durante la processione della vigilia hanno marciato per Betlemme, accolgono i fedeli in chiesa. Accanto ai religiosi e alle religiose che abitano in Terra Santa, erano presenti diplomatici stranieri, rappresentanti dell’Autorità Palestinese (con il presidente Mahmoud Abbas assente per motivi di salute) e delegazioni del Regno di Giordania, che il cardinale Pierbattista Pizzaballa ha ringraziato in particolare per il sostegno nel consegnare aiuti alla Striscia di Gaza.
Nell’omelia della notte di Natale il patriarca latino di Gerusalemme, è partito dal dettaglio del testo evangelico, citando l’apertura del passo di Luca (2,1): “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra”. Una situazione di ieri che ci parla ancora oggi: “Luca colloca la nascita di Gesù dentro la grande storia del mondo, segnata da decisioni politiche, da equilibri di potere, da logiche che sembrano governare il corso degli eventi. Come allora, anche oggi la storia è segnata da decreti, decisioni politiche, equilibri di potere che spesso sembrano determinare il destino dei popoli. La Terra Santa ne è testimone: le scelte dei potenti hanno conseguenze concrete sulla vita di milioni di persone”.
Non è un dettaglio marginale: “L’evangelista Luca ci dice che Dio non ha paura della storia umana, nemmeno quando essa appare confusa, segnata da ingiustizie, violenza e dominio. Dio non crea una storia parallela, non entra nel mondo quando tutto è finalmente ordinato e pacificato. Entra nella storia reale, concreta, talvolta dura, e la assume dall’interno”.
Un punto su cui il cardinale ha insistito molto, riferendosi alla situazione che la Terra Santa vive anche oggi: “Questo è uno dei grandi annunci del Natale: Dio non aspetta che la storia migliori per entrarvi. Entra mentre la storia è quella che è. Così ci insegna che nessun tempo è definitivamente perduto e che nessuna situazione è troppo oscura perché Dio vi possa abitare”.
Il racconto di Luca mette in evidenza le logiche di potere che distinguono la logica degli uomini da quella di Dio, ha commentato ancora Pizzaballa: “Da una parte l’imperatore che dispone dei popoli, dall’altra un bambino che nasce senza potere. L’impero emana decreti, Dio dona un Figlio. Mentre la storia segue la logica della forza, Dio agisce nella discrezione e compie le sue promesse attraverso eventi ordinari”
“Questo contrasto - ha aggiunto il patriarca - non serve solo a commuoverci; serve a convertirci. Ci rivela come Dio sceglie di essere presente nel mondo e, di conseguenza, come anche noi siamo chiamati a stare nella storia. Il Natale, infatti, non è un rifugio spirituale che ci sottrae alla fatica del tempo presente. È una scuola di responsabilità. Ci insegna che la pienezza del tempo non è una condizione ideale da attendere, ma una realtà da accogliere. È Cristo stesso che rende pieno il tempo. Egli non aspetta che le circostanze siano favorevoli: le abita e le trasfigura”.
Ancora una volta, è alla luce del Vangelo che va letta l’esperienza che sta vivendo oggi la Terra Santa, dove dal 10 ottobre è entrata in vigore la prima fase di un fragile cessate il fuoco: “Anche la pace annunciata dagli angeli va compresa in questa luce. Non è un semplice equilibrio, né il risultato di accordi fragili. È il frutto della presenza di Dio nella storia. È una pace che viene dall’alto, ma che non si impone. È donata, ma anche affidata. Dio fa la sua parte fino in fondo: entra nella storia, si fa Bambino, condivide la nostra condizione. Ma non sostituisce la libertà dell’uomo. La pace diventa reale solo se trova cuori disponibili ad accoglierla e mani pronte a custodirla”.
È una responsabilità “grande e concreta” quella che è stata consegnata da Dio agli uomini: “Ogni gesto di riconciliazione, ogni parola che non alimenta l’odio, ogni scelta che mette al centro la dignità dell’altro diventa il luogo in cui la pace di Dio prende carne. Il Natale non ci allontana dalla storia, ma ci coinvolge profondamente. Non ci rende neutrali, ma partecipi”.
In tutta la Terra Santa queste parole hanno un significato concreto: “Celebrare il Natale a Betlemme significa riconoscere che Dio ha scelto una terra reale, segnata da ferite e da attese. La santità dei luoghi convive con ferite ancora aperte. Veniamo da anni durissimi, in cui guerra, violenza, fame e distruzione hanno segnato profondamente la vita di tanti, soprattutto dei più piccoli. Troppo pesante è diventata la situazione, troppo conflittuali i rapporti, troppo faticoso ricominciare e ricostruire. La storia ha mostrato in questi anni tutte le sue contraddizioni, la realtà ci è venuta incontro con il suo lato pesante, complicato, triste”. E se questa Terra “crocevia di popoli e di fedi, continua a essere teatro di tensioni e conflitti” è anche per “la responsabilità dei leader locali, della comunità internazionale, ma anche delle autorità religiose e morali”.
Pizzaballa ha richiamato esplicitamente la situazione di Gaza, parlando della sua recente visita. “Nonostante la fine della guerra, tutto questo è ancora presente a Gaza, dove sono stato pochi giorni fa”, ha detto. “Le famiglie vivono tra le macerie e il futuro appare fragile e incerto”. Una realtà che, ha sottolineato, non può essere rimossa neppure nel giorno di Natale, perché è proprio lì che il mistero dell’incarnazione continua a prendere forma. Incontrando le persone “sono rimasto colpito - ha proseguito il cardinale- dalla loro forza e dal loro desiderio di ricominciare, dalla loro capacità di gioire di nuovo, dalla loro determinazione a ricostruire da zero le loro vite devastate”.
Il patriarca si è soffermato in particolare sui bambini, portatori di speranze inattese: “I bambini sono meravigliosi. I bambini sono sempre meravigliosi. Ma lì vedo dei bambini che, nonostante tutto, senza nulla, in mezzo al nulla, sono capaci di gioire, di abbracciarsi, di sorridere. Penso che siano loro a dare forza anche agli altri” di andare avanti.
Gli abitanti di Gaza “ci ricordano come anche noi siamo chiamati a stare dentro la nostra storia. Ci interpellano chiedere con forza percorsi di giustizia e riconciliazione, di ascolto del grido dei poveri, affinché la pace non sia solo un sogno, ma un impegno concreto e una responsabilità per tutti”.
Nonostante la venuta di Cristo, infatti, “la storia non cambia in una notte”, ha sottolineato il patriarca. “Ma può cambiare direzione quando uomini e donne si lasciano illuminare da una luce più grande di loro. Il Vangelo di questa notte interpella anche noi qui presenti, provenienti da paesi, culture e storie diverse. Ci chiede di non restare neutrali. Di non fuggire dalla complessità del presente, ma di attraversarla alla luce del Bambino. La notte del mondo può essere profonda, ma non è definitiva. La luce di Betlemme non abbaglia: illumina il cammino. Passa di cuore in cuore, attraverso gesti umili, parole riconciliate, scelte quotidiane di pace di uomini e donne che lasciano che il Vangelo prenda carne nella vita”.
24/12/2020 08:00





