05/04/2024, 08.38
ARMENIA
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A Erevan una Pasqua di tensioni tra la Chiesa e il primo ministro

di Vladimir Rozanskij

Pašinyan "predica" utilizzando salmi e immagini el Vangelo per difendere la sua politica. Karekin II e il clero gli rispondono che il suo compito è "guarire le ferite del suo popolo che subito gravi perdite". Dietro allo scontro la ferita della rinuncia al Nagorno Karabakh mentre è tornata a salire la tensione con l'Azerbaigian.

Erevan (AsiaNews) - Molti sacerdoti della Chiesa Apostolica armena hanno reagito alla “predica politica” del primo ministro Nikol Pašinyan durante le celebrazioni della Pasqua, che in armeno è chiamata Zurb Zatik, “Liberazione dalla Sofferenza” e si celebra secondo il calendario gregoriano, in quanto gli armeni non hanno seguito gli ortodossi di tradizione bizantina nel difendere il “vecchio calendario”. Lo stesso patriarca, il katholikos Karekin II, nel suo messaggio pasquale ha ammonito i fedeli che “ci troviamo in tempi difficili e pieni di imprevisti per l’Armenia”.

La sera della vigilia pasquale, il Čragalujts, Pašinyan ha incontrato i membri del suo partito dell’Accordo Civile nella città di Artašat, centro amministrativo della regione di Ararat, e nel corso della discussione ha fatto ricorso inaspettatamente al Discorso della Montagna di Gesù, dichiarando che “la dimensione politica delle fondamenta del cristianesimo per me non è meno importante di quella spirituale”, in quanto “Gesù Cristo non è soltanto il Figlio di Dio, ma anche la figura ideale del leader”. Il Signore era anche “un grandissimo rivoluzionario, che per un certo periodo è andato in giro per il mondo, cambiandolo profondamente con le sue azioni”. Il premier ha quindi paragonato il destino del Salvatore con quello del suo partito, che diverse volte “era morto” e poi “è sempre risorto”, vedendo un particolare significato nelle parole del Vangelo che proclamano “Beati i perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il Regno dei Cieli”, parole “che mi hanno sempre dato tanta forza nei momenti più difficili”, ha concluso Pašinyan.

In questi giorni diversi membri del clero hanno commentato queste parole, a cominciare dal capo del servizio informativo della curia di Ečmjadzin, la sede patriarcale, il sacerdote Esai Artenyan, che ha ricordato come “Cristo fu crocifisso proprio perché non voleva essere un rivoluzionario, e prendere il potere… nel Vangelo ci sono molte testimonianze del fatto che gli ebrei volessero che Gesù diventasse re, ma il Signore si è rifiutato, speravano che li guidasse alla rivolta contro l’imperatore e li liberasse dal giogo dei romani, ma Cristo è il re celeste, come Lui stesso più volte ha spiegato”. P. Esai non ha fatto il nome di Pašinyan, ma i suoi follower sulle reti social hanno capito a chi si riferiva.

Del resto non è la prima polemica che nasce tra il premier e la Chiesa armena, e Pašinyan ha perfino rifiutato di partecipare alle celebrazioni pasquali, limitandosi a rivolgere un saluto a tutti i credenti in un breve video pubblicato nei giorni precedenti, in cui invece di congratularsi ha letto il testo del salmo 25, “Signore, fammi giustizia, nell’integrità ho camminato”. Il premier ha cominciato nei suoi discorsi a citare passi di letteratura religiosa da alcuni anni, senza spiegarne le motivazioni.

Mentre Pašinyan teneva il suo “discorso della montagna” ai piedi dell’Ararat, il patriarca Karekin II guidava i fedeli nel corteo della veglia con le lampade accese al cero pasquale, e anche nella sua omelia non sono mancati i commenti alla situazione politica, esortando i fedeli a “dare la giusta risposta alle realtà che ci affliggono, il compito del nostro popolo è quello di superare le divisioni interne e l’incomunicabilità, guarire le ferite del popolo che ha sofferto di gravi perdite, rafforzando la Patria unendo le forze”. La grazia del Risorto deve fare in modo che “non ci riduciamo a essere una nazione debole e sconsolata, che mette in pericolo il futuro e l’indipendenza della nostra Patria”.

La Chiesa ha sempre criticato l’arrendevolezza del governo sulla questione dell’Artsakh, la “terra dei nostri guerrieri e dei nostri martiri”, ha ricordato il katholikos. Nel Nagorno Karabakh stanno “le tombe scavate per noi malvagi, ma la tomba di chi vince l’angoscia della morte insieme a Cristo è vuota, noi crediamo nella risurrezione”. Le parole del capo dei cristiani armeni sono risuonate come un appello a riprendere la lotta contro il nemico, proprio nei giorni in cui si rinnovano i conflitti di frontiera con l’Azerbaigian. In Armenia i politici parlano con i versi dei salmi e dei vangeli, mentre i preti usano la lingua della politica e della guerra.

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