26/05/2023, 08.50
ARMENIA
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Scontro politico a Erevan sulle aperture a Baku sul Nagorno Karabakh

di Vladimir Rozanskij

Le opposizioni insorgono dopo le dichiarazioni del premier Nikol Pašinyan sul riconoscimento della sovranità azera sul territorio conteso nell'ambito del negoziato in corso. I socialisti chiamano alla protesta nelle strade contro la "capitolazione". Il governo: "Tuteleremo i veri interessi dell'Armenia". A ottobre a Granada il prossimo round delle trattative ufficiali. 

Erevan (AsiaNews) - Dopo le dichiarazioni del premier Nikol Pašinyan sul riconoscimento del Nagorno Karabakh come territorio azero, il leader della Federazione socialista armena “Dašnaktsutyun”, Iškhan Sagatelyan, ha dichiarato che le opposizioni “cominceranno una nuova fase di lotta, allo scopo di sostituire l’attuale governo”. “Abbiamo 5-6 mesi per fermare il processo di svendita del nostro Paese”, ha detto, prima cioè che gli accordi siano definiti a ottobre, quando è previsto il prossimo round delle trattative ufficiali a Granada, in Spagna.

Sagatelyan ha ricordato la serie di incontri dell’ultimo anno a Mosca, Chişinău e Bruxelles, ricordando come Pašinyan si sia sempre più esposto sulla “cessione” dell’Artsakh (Karabakh), usando carte geografiche e grafici temporali di trasferimenti territoriali. A suo parere anche le opposizioni devono “formulare in modalità precise i passi e le azioni della lotta, in Armenia e in Artsakh, con proteste mirate a dimostrare che tutti i documenti firmati nelle trattative col nemico sono privi di qualunque validità”.

I socialisti intendono “garantire la massima unità nazionale per evitare una nuova capitolazione”, parlando apertamente di “lotta lungo le strade”, ma senza per ora indicare date esplicite per le manifestazioni di protesta. Il governo in generale viene ritenuto “illegittimo”, e ogni iniziativa per liberarsene “ha il valore di una rivolta, di un gesto di disobbedienza, perché questo potere non ci lascia altra scelta: o arrendersi, o combattere per la Patria”.

Il leader socialista dice di non volere “fomentare azioni violente”, ma “difendere il sacro diritto del popolo a ribellarsi contro la schiavitù a cui è costretto”. Concorda con Sagatelyan anche un altro rappresentante delle opposizioni, il capo del partito repubblicano “Ho l’onore”, Ajk Mamidžanyan, secondo il quale “ogni secondo perso comporta nuovi danni ai due Stati armeni”, cioè quello di Erevan e quello di Stepanakert. Egli confida che il governo “alla fine rassegni le dimissioni, sotto la pressione degli armeni”.

Già lo scorso anno le opposizioni avevano formato il coordinamento detto “Disobbedienza”, che aveva organizzato diversi cortei e manifestazioni di piazza, senza riuscire a ottenere il ritiro di Pašinyan. Oggi vogliono tornare alla carica in modo più organizzato ed efficace, anche se il deputato della maggioranza Artur Ovannisyan ha commentato che “visti i precedenti, possiamo ritenere che le opposizioni abbiano esaurito le proprie risorse”.

Ovannisyan aggiunge che “nessuno impedirà la libera espressione di chiunque: noi chiediamo solo a questi circoli di non creare ostacoli con le proprie azioni per il conseguimento dei veri interessi dell’Armenia e del Nagorno Karabakh”. Altrimenti - aggiunge - le proteste verranno fermate dal governo “in modo fermo e nei limiti della legge”. Egli conferma che anche gli esponenti dei partiti che sostengono il governo, a partire da quello dell’Accordo Civile, ritengono che il presidente azero Aliev sia un “criminale non degno di fiducia”. Ma con il sostegno internazionale “bisogna giungere quanto prima a un accordo di pace per lungo tempo”, unica condizione per discutere di ogni aspetto della condizione degli Stati.

Anche il parlamento di Stepanakert fa pressioni contro Pašinyan, chiedendo lo stato di sovranità rispetto all’Azerbaigian, come promesso anche dall’Accordo Civile nelle sue campagne elettorali. Ovannisyan osserva, però, che “la situazione è molto cambiata, e noi informiamo costantemente la popolazione”. Prima - aggiunge - bisogna garantire il riconoscimento della sovranità “dei 29.800 chilometri quadrati dell’intera Armenia, con le misure per la sicurezza e i diritti di tutti coloro che vivono nell’Artsakh”.

Il governo assicura che “sarà onesto con il popolo”, e non verrà firmato alcun documento segreto. A Mosca in questi giorni vi saranno nuovi incontri, anche se l’accordo di pace è ancora da definire, sperando che non vi siano nel frattempo non degeneri lo scontro interno in Armenia.

 

Foto: Flickr / Clay Gilliland

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