Akhundzada si rafforza nella lotta tra talebani, mentre il Paese sprofonda per la crisi dei rifugiati
La Guida suprema dell’Emirato islamico, Hibatullah Akhundzada, ha riassegnato nove funzionari, nel tentativo di consolidare la propria autorità contro le altre fazioni talebane, in particolare la Rete Haqqani. Le tensioni interne alimentano però anche fratture etniche e territoriali. Intanto, il ritorno forzato di decine di migliaia di rifugiati dall'Iran aggrava la situazione umanitaria interna.
Kabul (AsiaNews) - La Guida suprema dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, Hibatullah Akhundzada, ha riassegnato nove funzionari a nuovi incarichi, proseguendo sulla scia di precedenti rimpasti all’interno della leadership talebana, segnata da divisioni ideologiche, etniche e tribali, mentre la popolazione continua a vivere una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni, aggravata dal ritorno forzato di decine di migliaia di rifugiati dall'Iran, dopo le espulsioni dal Pakistan.
Le nomine sono state annunciate il 16 luglio e riguardano ruolo nel governo centrale e nelle amministrazioni provinciali. Zia-ur-Rahman Madani, per esempio, ex governatore talebano di Logar, ricopre ora il ruolo di viceministro per gli Affari professionali presso il ministero dell’Orientamento e degli Affari religiosi. Il suo posto è stato preso da Salahuddin Ayoubi, già capo della polizia talebana nella provincia meridionale di Zabol. Sayed Hassan Shah Agha, ex vice governatore talebano di Kandahar, si occupa ora finanze talebane all’Ufficio per gli affari amministrativi, mentre Qudratullah Amini, ex consigliere del ministero degli Interni talebano, è ora vice governatore talebano di Kabul, prendendo il posto di Mohammad Younis Mokhles, promosso a consigliere al ministero dell’Interno. Anche ad aprile e maggio la Guida suprema aveva compiuto operazioni simili, riducendo del 20% le strutture governative.
Akhunzada non ha mai dato spiegazioni riguardo questi cambiamenti ma è facile immaginare che si tratti un rimpasto atto a rafforzare ancora una volta la sua leadership, il cui centro geografico ruota intorno alla città di Kandahar (dove è stata creata anche una forza di polizia apposita per proteggere la Guida suprema), sulle altre fazioni talebane, e in particolare su quella guidata da Sirajuddin Haqqani, che ufficialmente ricopre ancora il ruolo di ministro dell’Interno.
Secondo diversi esperti, il ritorno al potere dei talebani ha esacerbato le divisioni interne che prima erano mascherate dalla necessità di combattere la presenza straniera in Afghanistan che sosteneva il precedente governo. Il passaggio da un movimento di guerriglia a un’amministrazione statale ha fatto emergere le divisioni ideologiche, creando una competizione interna per il potere e le risorse.
In questo contesto Akhunzada è sostenitore di una rigida applicazione della legge islamica e di un ritorno al governo talebano degli anni ‘90, anche a costo dell’isolamento internazionale. È lui il responsabile dei divieti nei confronti delle donne per i quali la Corte penale internazionale ha anche emesso un mandato d’arresto, mentre la Rete Haqqani, guidata da Sijaruddin, ha una visione più pragmatica e sarebbe disposta anche a scendere a compromessi con la comunità internazionale per rendere il regime meno isolato e garantirne la sopravvivenza a lungo termine.
La Rete Haqqani mantiene anche fonti finanziarie indipendenti, il che contribuisce a una certa autonomia all’interno della struttura talebana. Di questa fazione fanno parte anche Abdul Ghani Baradar, vice primo ministro, e il mullah Mohammad Yaqoob, ministro della Difesa e figlio del fondatore del movimento, il mullah Omar. Oltre ad aver cercato di aumentare i legami militari e commerciali con Qatar, Emirati Arabi Uniti e India, in un’occasione ha dichiarato che i talebani dovrebbero “ascoltare le legittime richieste del popolo”. Anche altri leader nei mesi scorsi hanno rilasciato dichiarazioni con cui hanno apertamente e pubblicamente criticato l’ala intransigente. È il caso per esempio di Abbas Stanikzai, vice ministro degli Affari Esteri, auto-esiliatosi negli Emirati Arabi Uniti (dove lo stesso Haqqani è rimasto per un certo periodo nei mesi scorsi) dopo aver pubblicamente sostenuto l'istruzione per ragazze e donne e persino affermato che gli individui hanno il diritto di rifiutare ordini contrari alla legge islamica.
Ma queste non sono le uniche divisioni: al ministero della Difesa sono state licenziate oltre 4.400 persone, prevalentemente di etnia tagika e altri gruppi non pashtun. Ufficialmente inquadrata come misura di riduzione dei costi, la mossa è stata in realtà interpretata come un tentativo di consolidare il dominio pashtun sulle altre etnie. Nella provincia nord-orientale di Badakhshan, in particolare, sono emerse tensioni in seguito alla crescente marginalizzazione dei comandanti tajiki dalla gestione dell’amministrazione locale e per la distruzione dei campi di oppio.
E mentre i talebani continuano a lottare per il potere, circa metà della popolazione afghana - oltre 23 milioni di persone - continua ad avere bisogno di assistenza umanitaria. La situazione è poi ulteriormente aggravata dal ritorno dei rifugiati afghani dal Pakistan e dall’Iran: solo a giugno sono state rimpatriate dall’Iran 500mila persone, di cui 80mila bambini, come ha denunciato nei giorni scorsi Save the Children. Da gennaio si stima che 1,4 milioni di afghani abbiano abbandonato (spesso forzatamente) l’Iran, che ospita milioni di rifugiati a causa di decenni di conflitto e a marzo ha dichiarato di non essere in grado di continuare a provvedere ai profughi afghani. In seguito alla guerra con Israele, Teheran ha incolpato gli afghani di essere spie al soldo di Washington e Tel Aviv e c’è stato un aumento delle aggressioni contro i rifugiati. Nelle ultime settimane fino a 20mila persone al giorno hanno attraversato la frontiera tra i due Paesi, segnando una delle più gravi crisi migratorie dell’ultimo decennio.
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