16/01/2012, 00.00
ISLAM - EGITTO
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Al-Azhar in difesa della democrazia e della libertà religiosa

di Samir Khalil Samir
L’università sunnita, guida del mondo islamico mondiale, propone alcune linee guida per il mondo nato dopo la “primavera araba” su diritti umani, libertà religiosa, libertà di ricerca scientifica e artistica. Il tentativo di modernizzare la visione musulmana su questi temi è stato appoggiato anche dalle Chiese cristiane dell’Egitto.
Beirut (AsiaNews) - Nei giorni scorsi, l’università islamica di al-Azhar ha diffuso un “Documento sulle libertà fondamentali”, per offrire indicazioni sulla nuova società egiziana nata dalla “primavera araba”. In esso si difende la libertà di religione, di opinione, di ricerca scientifica e di creatività artistica. Questo è il secondo documento presentato da al-Azhar alla nazione. Il primo è stato presentato l’11 giugno scorso ed ha come titolo: “Raccomandazioni per il futuro dell’Egitto”.

Tutto è nato dal nuovo rettore al-Tayyeb, che, come si sa, ha studiato a Parigi e alla Sorbona. Egli sta cercando di ridare all’università di al-Azhar un po’ di indipendenza. Dai tempi di Nasser, cioè da quasi 60 anni, l’università è rimasta sotto il controllo del governo egiziano. In questo modo le era assicurato il sostegno economico, il ruolo di portavoce dell’islam all’interno dell’Egitto, ma perdeva di importanza nel mondo islamico. Ora l’università vuole tornare ad essere il portavoce dell’islam mondiale - un islam moderato - come in passato è avvenuto agli inizi del XX secolo.

A tal proposito, il rettore ha scelto alcuni collaboratori, capeggiati Mahmud Azab, una personalità già professore di lingua araba e islamistica all’Istituto delle lingue orientali di Parigi che è giunto in Egitto un anno fa, incaricato del dialogo culturale e religioso [1].

Questo professore è un mio caro amico, ed è stato perfino mio studente all’università del Cairo quando insegnavo la filosofia araba cristiana. Dopo la primavera araba in Egitto, egli ha cercato le vie per dialogare con gli islamisti e con i laici, fino a creare un ponte fra le personalità religiose di al-Azhar e gli intellettuali laici o altro.

L’11 giugno scorso essi hanno presentato il primo documento, le “Raccomandazioni per il futuro dell’Egitto” , riassunte in 11 punti.

Per il futuro dell’Egitto

Il primo punto esalta “Uno stato nazionale costituzionale e democratico; l’uguaglianza per tutti i cittadini; la sharia come una delle fonti della legislazione”. Da notare che nella traduzione ufficiale del documento, fatta dal governo, anziché “una delle fonti”, hanno messo che la sharia è “la fonte” del diritto. In tal senso, governo e militari sembrano essere più islamisti di al Azhar.

Il secondo punto è su “Suffragio universale e libertà di informazione”.
Il terzo è “Libertà fondamentali del pensiero e dell’opinione; diritti dell’uomo, della donna, del bambino; pluralismo; cittadinanza, unico criterio di responsabilità nel seno della società”[2].
Il quarto tratta dello “spirito di dialogo e rispetto mutuo nella relazione fra le diverse componenti della nazione”.
Il quinto è sul “rispetto degli accordi internazionali (sottinteso: l’accordo con Israele e gli altri Paesi)”.
Il sesto: “rispetto della dignità della nazione egiziana (contro gli abusi della polizia e dell’esercito)”.
Il settimo è sul “progresso nell’insegnamento e nella ricerca scientifica”.
L’ottavo su “priorità di sviluppo e giustizia sociale, contro la corruzione e la disoccupazione”.
Il nono su “Legami solidi fra l’Egitto e i Paesi arabi”;
Il decimo su “Indipendenza dell’istituzione dell’al-Azhar” (per rispondere agli islamisti e ai salafiti che l’accusano di connivenza col potere).
E infine l’undicesimo: “Al Azhar unica istanza competente negli affari islamici”. Con questo essi vogliono affermare non solo di essere indipendenti dal governo, ma anche di essere gli unici a poter parlare a nome dell’islam (in risposta agli islamisti e ai salafiti). Ormai nel mondo musulmano ogni gruppo afferma di essere il portavoce dell’islam creando confusione e conflitti nella Umma.

Il governo ha apprezzato il documento, e una risposta positiva è venuta anche dai partiti liberali e islamisti: è un tentativo di imbastire un progetto comune per costruire il nuovo Egitto. Per la sua stesura erano stati invitati un certo numero di intellettuali, i copti ortodossi, i cattolici, gli anglicani e i luterani erano anche presenti.

Occorrerà un po’ di tempo per misurare l’impatto che esso avrà, anche perché, con mio grande stupore, questo documento non ha avuto una grande risonanza.

Le libertà fondamentali

Anche il testo pubblicato la settimana scorsa, (“Documento sulle libertà fondamentali”) non è molto conosciuto: i miei amici del Cairo ne sapevano poco; un professore universitario, impegnato in politica, non aveva nemmeno il testo. La pubblicità ad esso è stata fatta piuttosto da alcuni giornalisti occidentali.

Questo secondo testo, pubblicato ufficialmente l’8 gennaio scorso, ma diffuso alcuni giorni dopo, è stato svolto da al-Azhar, ma ha ottenuto anche l’approvazione delle Chiese cristiane, come pure dei vari gruppi islamici. Solo il gruppo cosiddetto dei “cristiani di Maspero”, non l’ha approvato. Essi lo considerano un buon documento, ma vorrebbero che queste prospettive emergano da tutta la nazione e non dalla sola al Azhar.

In ogni caso, il documento ha un grosso valore perché al-Azhar è un’autorità nell’islam. Essa è un’istituzione sunnita in un Paese - l’Egitto - che è al 90% sunnita: quando al-Azhar parla, tutti l’ascoltano.

In passato al-Azhar era malvista dai laici. Ma questo documento, pur non rinnegando un fondo musulmano, rimane aperto alle spinte della modernità, per cui io penso che esso riuscirà a coagulare un sentimento unanime all’interno del Paese. I cristiani da parte loro, hanno visto che questo documento è il meglio che si può ottenere nell’attuale situazione e per questo lo hanno approvato.

Il lungo testo di questo secondo documento consta di 4 punti:
1) Libertà di fede;
2) Libertà d’opinione ed espressione;
3) Libertà della ricerca scientifica;
4) Libertà della creazione artistica e letteraria

L’islam a sostegno della ricerca scientifica e dell’arte

Nel terzo e quarto punto essi cercano di rivolgersi agli intellettuali. In particolare, nel terzo punto, ricordano che un tempo l’islam era all’avanguardia nella ricerca scientifica, mentre oggi è solo l’occidente a essere creativo in questo campo, insieme a Giappone, Corea, Cina, India. Per questo è tempo che il mondo islamico si risvegli e contribuisca alla ricerca scientifica.

Il quarto è per spingere di più alla creatività artistica nel mondo arabo, valorizzando l’uso della lingua. Si sottolinea l’importanza di lasciare libero ogni artista e intellettuale ad esprimersi, mettendo come unico limite – citato qua e là – “purché non offenda la sensibilità religiosa del popolo”. Dove per “sensibilità religiosa” si intendono la sensibilità dei membri delle “tre religioni rivelate”, cioè islam, cristianesimo, ebraismo.

In questi due punti si vede una critica all’occidente (l’affare delle caricature danesi contro Maometto è ancora vivo [3] ). Questo atteggiamento di critica alla religione non dovrebbe entrare nella libertà degli artisti. In ciò, la concezione della libertà islamica è diversa da quella dell’occidente. Ma va apprezzato che in un Paese islamico si sottolinea il fatto che non vanno offese nemmeno le altre due religioni “rivelate” o “celesti”, cioè il cristianesimo e l’ebraismo.

Naturalmente rimane il problema delle immagini del profeta Maometto. Secondo gli islamisti più puri, l’islam non dovrebbe ritrarre il profeta o l’uomo, anche se può raffigurare piante, animali, ecc.. In contrasto, diversi intellettuali musulmani ricordano che tutta la tradizione persiana, turca, o indiana (dei tempi dei Moghul), raffigura esseri umani e lo stesso Maometto.

Introduzione: accordo fra sharia e diritti umani

La parte fondamentale del nuovo documento è nell’introduzione e nei primi due punti.

Nell’introduzione, si afferma che è necessario “trovare un relazione fra i principi globali della sharia islamica con le libertà fondamentali”: si è quindi alla ricerca di un’armonia fra i principi della sharia e i diritti umani fondamentali, “approvati da tutti gli accordi internazionali che rappresentano l’esperienza civilizzatrice del popolo egiziano”. In pratica al-Azhar riconosce il valore della Carta dell’Onu sui diritti umani. E secondo il documento, questi diritti sono: la libertà di credere, la libertà di espressione, la libertà della ricerca scientifica, la libertà artistica.

È interessante notare che il documento parla sempre dei “principi della sharia” o dei “scopi (maqâsid) della sharia”. I canonisti islamici del Medioevo distinguevano fra i “scopi” e le “decisioni della sharia”. Questo permette di salvare l’intenzione, relativizzando la realizzazione e trovando risultati sempre nuovi, più adeguati, pur salvando lo scopo della legge. Questa distinzione è molto importante perché salva dal letteralismo delle applicazioni e apre al principio dell’interpretazione.

Al-Azhar afferma anche che non c’è contrapposizione fra sharia e democrazia. Anche questo è un punto molto sensibile. Il documento afferma anzi che è necessaria un’evoluzione in senso democratico della società per permettere alla nazione di vivere in pace e in armonia con Dio.

L’introduzione si conclude con un attacco alle tendenze islamiste. Senza nominare alcun gruppo, si prendono di mira persone che col pretesto di fare ordine, utilizzano il criterio di “ordinare il bene, vietare il male” [4] e limitano le libertà generali e particolari. Il che “non è conforme alla civiltà e all’evoluzione dell’Egitto moderno”. Questa giustificazione è importantissima, perché oppone all’opinione degli islamista la civiltà, la modernità e parla di evoluzione della società.

L’appunto mira a criticare le tendenze islamiste, i salafiti, i quali affermano di applicare il Corano e la legge islamica, usando proprio l’espressione “ordinare il bene e vietare il male”. Ma facendo questo – dice al-Azhar – essi limitano le libertà della gente e ciò è contrario al pensiero moderno diffuso in Egitto. L’interpretazione giusta è invece data da chi segue “il giusto mezzo”.

Primo punto: la libertà religiosa (senza conversione)

Il primo punto afferma che “la libertà religiosa è la pietra d’angolo della costruzione della società moderna e su di essa è basato il concetto di cittadinanza perfetta, stabilito sull’uguaglianza assoluta fra tutti, nei doveri e nei diritti. Questo è confermato dai testi religiosi evidenti, come pure dai principi della costituzione e del diritto”.

Per rivendicare questa armonia fra i diritti umani e il Corano sulla libertà religiosa, essi citano due versetti molto noti: “Non c’è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall'errore” (Corano 2/256) [5].
E anche: “Di': La verità [proviene] dal vostro Signore: creda chi vuole e chi vuole neghi” (Corano 18.29) . Di conseguenza, essi affermano che “è un crimine ogni manifestazione di intolleranza nella religione, o di persecuzione, o di distinzione fra persone in nome della religione”.
“Tutte le persone nella società hanno diritto di avere l’opinione che vogliono, purché non tocchino il diritto della società di preservare le religioni celesti , perché le religioni divine hanno un carattere sacrale”[6].
Questa parte è tipicamente islamica, ma è anche accettabile dai cristiani. In pratica si segue il pensiero molto comune in Egitto, secondo cui le questioni religiose non si toccano. Per esperienza tutti si accorgono che se si toccano questioni religiose, vi è il rischio di conflitti e di morti.

Fra l’altro, il documento afferma che tutte le religioni celesti sono nate nel mondo arabo (s’intende ovviamente in Palestina e in Arabia).

Il testo pubblicato è interessante, ma di fatto evita un problema fondamentale: quello della conversione da una religione all’altra. In astratto si afferma che in materia di religione chiunque ha diritto alla sua opinione, ma ponendo il limite nel principio che “non va offesa la sensibilità religiosa”, non si capisce fin dove si può arrivare.

Il senso è “non bisogna provocare i sentimenti comuni”. Perciò, se uno si converte in privato, va bene, ma se fa del proselitismo, se rende pubblica la sua scelta, se fa pubblicità, non va bene e rischia persino la morte.
Ho spesso discusso con i miei amici musulmani dicendo che questo principio è applicato in modo parziale. Infatti, quando un cristiano noto si converte all’islam, la cosa è pubblicizzata nei giornali, nei libri, alla televisione, ecc… E fanno del proselitismo. Ma questo essi lo giustificano col fatto che l’islam “è l’unica religione autentica”. Sarebbe bene che ci fosse una discussione più profonda su questo punto perché è necessaria chiarezza sull’elemento “conversione”.

In compenso, il documento sottolinea che l’essere cristiano o musulmano non dovrebbe incidere sulle scelte di lavoro, sulle assunzioni, le carriere, ecc…, cosa che purtroppo avviene attualmente di continuo.

Il testo dice anche che bisogna rifiutare “chi utilizza l’anatema” (takfîr), cioè di chiamare e considerare l’altro kâfir. Qui ci si riferisce ancora ai salafiti che con facilità bollano gruppi e persone come “kâfir”, empi. Queste condanne sono molto diffuse fra i gruppi islamici, da sunniti contro sciiti, da gruppi minoritari contro altri…
Da tempo le autorità islamiche mondiali domandano che si fermi questo uso di sconfessare l’altro all’interno dell’islam, ma inutilmente.

Per giustificare tale posizione, al-Azhar cita l’imam Malek, cioè Mâlik Ibn Anas (711-795), creatore della scuola giuridica sunnita (malekita), prevalente in Africa del Nord, l’Egitto seguendo la scuola shafeita dell’imam shafei (767-820). La citazione dice: “Se qualcuno dice un’opinione che potrebbe essere interpretata come empietà da 100 punti di vista, ma che si può interpretare come un pensiero credente almeno per un solo aspetto, allora è necessario accoglierlo sotto l’aspetto della fede e non è permesso interpretarlo come empietà”. È una cosa molto simile al principio che s. Ignazio di Loyola dà all’inizio dei suoi Esercizi Spirituali (n. 22), in cui chiede di interpretare sempre le parole dell’altro nel modo più positivo possibile, dicendo: “È da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l'affermazione di un altro”.
Questa è la base del rispetto reciproco. Un’altra citazione di Malek dice: “Se c’è conflitto fra la ragione e la tradizione, si deve preferire la ragione e interpretare la tradizione secondo la ragione”. Anche questo è un principio eccezionale e importante che ritroviamo in Averroé. Purtroppo nel mondo islamico attuale non è molto applicato in pratica.

Secondo punto: libertà di opinione

Il secondo punto riguarda la libertà di opinione e di espressione. Al-Azhar insiste che questa è la madre di tutte le libertà, e si manifesta “con l’esprimere le opinioni in modo libero con tutti i mezzi di espressione: scrittura, arte, internet,… Ciò permette la libertà della società: i partiti, la società civile, la televisione. Esso implica anche la libertà ad accedere alle fonti di informazioni per formarsi un’opinione. Questa libertà deve essere garantita da un testo costituzionale per passare nel diritto quotidiano”.

In Egitto – afferma il documento – è garantita anche la libertà di criticare, anche con espressioni forti, purché la critica sia costruttiva. Ma il limite è di “non offendere l’altro”. E si introduce ancora il principio di rispettare il credo delle tre religioni divine, dei loro riti e costumi. Se non si fa questo, “si rischia di rompere il tessuto sociale e la saldezza della nazione”. “Non è diritto di nessuno – si ribatte – provocare tensioni confessionali in nome della libertà di espressione”.

Si afferma poi che la libertà di opinione e di espressione “è il luogo della verifica della democrazia” e si chiede, soprattutto ai media, di educare i giovani a questa dimensione “con tolleranza e larghezza di orizzonti”. Il dialogo deve avere sempre la meglio sull’intolleranza.

Conclusione

Per comprendere questo documento, occorre ricordare che nel contesto egiziano attuale e nel contesto islamico globale, l’intolleranza e il fanatismo religiosi sono prevalenti.

Nelle scorse settimane a Tunisi, i salafiti hanno bloccato l’università Manouba della capitale, perché volevano obbligare le studentesse a vestire il niqab, il velo integrale (in Tunisia è vietato perfino il velo ordinario).

In questo contesto, un documento come quello di al-Azhar è un grande passo in avanti, soprattutto perché viene dalla più alta autorità islamica in Egitto, rispettata da tutto l’Islam sunnita mondiale. Se si potrà mettere in pratica questi criteri, vi sarà un profondo cambiamento: il governo del Cairo sarà islamico, ma perlomeno garantirà la tolleranza e il rispetto delle religioni. Se esso diventa ispirazione per il nuovo governo, sarà un passo nuovo non solo per l’Egitto, ma anche per gli altri Paesi islamici. Infatti, bisogna ricordare che il fondamentalismo è nato proprio in Egitto, finanziato dall’Arabia saudita nel recente passato e oggi dal Qatar.

Il rispetto per l’altro.

Dietro tutto questo al-Azhar afferma la democrazia come espressione e garanzia di libertà, e sottolinea che il limite è il rispetto dell’altro. Anche l’occidente ha bisogno di riscoprire il rispetto per l’altro. Talvolta in occidente le democrazie – soprattutto dopo il ’68 – sono divenute l’occasione per accusare e distruggere il pensiero dell’altro, senza alcun rispetto, per cui il dialogo è divenuto violenza.

Mi ricordo di aver partecipato a Parigi alla contestazione, dove si predicava che “è vietato vietare” (“Il est interdit d’interdire!”) e quindi si affermava una libertà assoluta contro tutto e contro tutti. Questo elimina il rispetto delle religioni, delle tradizioni, degli anziani, degli antenati: insomma tutto ciò su cui si basano intere società e popolazioni in Asia, Africa e anche in occidente.

Questi documenti firmati dall’Azhar sono dunque un passo avanti, anche se proprio il responsabile di questi bei testi, Mahmud Azab, è quello che ha soggerito di tagliare i rapporti fra al-Azhar e il Vaticano all’inizio dell’anno 2011[7].



[1] Tutte le istituzioni islamiche, quando parlano di dialogo, citano il dialogo culturale e religioso, mai solo “dialogo religioso”. Questo mi fa rammentare la visione di Benedetto XVI, il quale ha detto che il dialogo fra le religioni deve essere anzitutto un dialogo culturale e aveva unito il Segretariato per il Dialogo interreligioso con quello per la Cultura.

[2] Questi primi tre punti sono approfonditi anche nel documento diffuso in questi giorni.

[3] Cfr. AsiaNews.it, 02/02/2006 Minacce e licenziamenti per le vignette su Maometto; e 03/02/2006 Le caricature su Maometto: l'Islam mostra la sua faccia più oscura.

[4] L’espressione è coranica : 3/104, 3/110, 7/199, 9/71, etc. Molti detti attribuiti a Maometto (hadith) riprendono l’espressione.

[5] Mi permetto pero’ di segnalare che non si cita quasi mai il seguito del versetto: “In verità abbiamo preparato per gli ingiusti un fuoco le cui fiamme li circonderanno, e quando imploreranno da bere, saranno abbeverati da un'acqua simile a metallo fuso, che ustionerà i loro volti. Che terribile bevanda, che atroce dimora!”

[6] Espressione tipicamente musulmana per indicare le 3 religioni: giudaismo, cristianesimo ed islam. L’ultima essendo sempre detta l’unica vera religione, che cancella le precedenti.

[7] V. AsiaNews.it, 20/01/2011 L’università islamica di Al Azhar sospende il dialogo con il Vaticano e 21/01/2011 Al Azhar contro il Vaticano: le meschinità e la politica.



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