Al Sabaileh: ‘Forte timore’ di attacco israeliano all’Iran, rischi di ‘pesante escalation’
Per l’esperto giordano il quadro è “negativo” con Israele che “opera in diversi fronti non confinanti“, forse presto anche “dentro” la Repubblica islamica. Gli Stati Uniti ordinano l’evacuazione dell’ambasciata in Iraq, fronte più esposto in caso di conflitto. L’Aiea approva una risoluzione contro l’Iran, possibili nuove sanzioni.
Baghdad (AsiaNews) - In queste ore in diverse zone del Medio oriente “è forte la paura” di un attacco israeliano all’Iran, che rischia di innescare una “pesante escalation” alla quale lo Stato ebraico sembra aver “mirato” come parte della sua strategia regionale. È quanto sottolinea ad AsiaNews il docente e analista geopolitico Amer Al Sabaileh, esperto di questioni mediorientali, sicurezza internazionale e policy dei processi di pace in aree di crisi, collaboratore di diverse testate fra cui The Jordan Times, sui “venti di guerra” fra Israele e Iran. “Il quadro - prosegue l’esperto giordano - oggi è negativo” e alimenta i timori per il futuro immediato. “Israele - aggiunge - ormai opera anche in diversi fronti non confinanti, come avviene in Yemen e forse presto anche in Iran” spingendosi “dentro” il territorio della Repubblica islamica.
Ad alimentare la prospettiva di un attacco israeliano, destinato ad innescare un confronto che potrebbe ben presto degenerare rispetto alle scaramucce del recente passato fra raid e rappresaglie mirate e simboliche, l’ordine da Washington di “evacuare” l’ambasciata statunitense in Iraq. E proprio sul Paese arabo, confinante con l’Iran, si concentrano le maggiori attenzioni anche perché rappresenta un fronte molto importante di influenza per Teheran. In passato lo stesso studioso giordano considerava Baghdad come l’unico fronte rimasto per l’Iran, perché quasi due anni di guerre e attacchi di Israele nella regione - da Gaza alla Cisgiordania, dal Libano alla Siria fino in Yemen - hanno allentato l’accerchiamento dello Stato ebraico.
L’ordine di evacuazione dell’ambasciata Usa in Iraq emesso ieri è stato poi esteso, nella notte, ad altre rappresentanze diplomatiche in Medio oriente a partire da Kuwait e Bahrein, dove “il personale non necessario” può rimpatriare. E anche il Pentagono avrebbe autorizzati i familiari dei militari a lasciare il Medio oriente. Il presidente americano Donald Trump ha più volte minacciato di colpire la Repubblica islamica in caso di fallimento dei colloqui sul nucleare. Parlando al Kennedy Center, l’inquilino della Casa Bianca ha detto che agli americani è stato consigliato di lasciare la regione “perché potrebbe essere un posto pericoloso, e vedremo cosa succede”.
In queste ore è giunta la replica di Teheran per bocca del ministro della Difesa Aziz Nasirzadeh che minaccia di colpire le basi Usa nella regione in caso di attacchi sul territorio; fonti governative affermano inoltre di essere stati “informati da un Paese amico di un possibile attacco”. Washington vanta una presenza militare consistente nell’area del mondo cuore della produzione del petrolio, con basi in Iraq, Kuwait, Qatar, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti. Dall’Iraq si cerca di disinnescare la tensione, con l’agenzia di stampa statale che, citando una fonte governativa, afferma che Baghdad ”non ha registrato alcuna indicazione di sicurezza che richiedesse un’evacuazione”.
“L’Iran non sembra aver compreso - osserva Al Sabaileh, autore di studi strategici su guerra e terrorismo in Nord Africa e Medio oriente - che è difficile continuare a evitare questo scontro [con Israele e Usa] che comunque sta già accadendo ogni giorno su vari fronti e in modi diversi”. “Da questi elementi - conclude - si comprende bene come non vi sia un veto per Israele di attaccare o di intervenire dentro l’Iran, anche se sinora vi è stata una posizione americana che sconsigliava l’attacco, almeno fino a quando non si risolve la partita delle trattative con Teheran”.
Oggi, infine, il Consiglio di amministrazione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha approvato una risoluzione di Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti in cui dichiara formalmente che l’Iran “non sta rispettando i suoi obblighi in materia nucleare”. Secondo fonti istituzionali il testo sarebbe stato approvato da 19 Paesi membri del board, mentre tre si sono opposti: Russia, Cina e Burkina Faso. Altri 11 nazioni si sono astenute e due non hanno votato. Di certo vi è che questa decisione - per la prima volta in 20 anni Teheran non è stata giudicata conforme, ponendo le basi per possibili nuove sanzioni Onu entro fine anno - rischia di innescare ulteriori tensioni in una fase di profonda incertezza e a rischio escalation.
Nella bozza il consiglio invita ancora una volta la Repubblica islamica a fornire “senza indugio” risposte in merito a tracce di uranio rinvenute in diverse località, ma che Teheran non ha dichiarato come siti nucleari. Per gli esperti occidentali potrebbero essere la prova di un programma segreto, finalizzato alla realizzazione della bomba atomica, in atto dal 2003. Al momento non si registrano commenti al voto di Teheran - che aveva minacciato in precedenza ritorsioni - ma vi sono voci interne insistenti sulla creazione di un nuovo impianto per arricchire l’uranio e realizzato “in un luogo sicuro”. Uno scenario di crescente criticità, in attesa del sesto round di colloqui - confermato in queste ore da Mascate - in programma il prossimo 15 giugno tra Stati Uniti e Iran sul nucleare.
11/11/2017 09:23
24/03/2021 11:27