04/03/2011, 00.00
CINA
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All’Assemblea nazionale del popolo si gioca il destino di Hu Jintao e Wen Jiabao

di Bernardo Cervellera
I due leader hanno sempre predicato la “società armoniosa” e una “crescita inclusiva”. Ma nel Paese è cresciuta la disuguaglianza sociale fomentando le rivolte. I membri del Partito sono anche i più ricchi del Paese. È urgente cambiare il modello di sviluppo per far crescere il consumo interno. Timori di possibili “rivoluzioni dei gelsomini”. La Cina è simile all’Egitto e alla Tunisia. Cresce del 12,7% il bilancio dell’esercito e del 40% gli stipendi ai militari.
Roma (AsiaNews) – Ora o mai più: l’Assemblea nazionale del popolo che si apre domani a Pechino è forse l’ultima possibilità per la leadership di Hu Jintao e Wen Jiabao di lasciare un segno nella storia del Paese. E questo per due motivi: primo, il tema più importante dell’Anp di quest’anno è l’approvazione del piano quinquennale economico 2011-2015 che stabilisce le prospettive dello sviluppo cinese; secondo, l’anno prossimo vi sarò il cambio verso la quinta generazione della leadership, con le dimissioni di Hu e Wen.
 
Del piano quinquennale si conoscono gli elementi fondamentali, emersi durante il Plenum del partito comunista nell’ottobre scorso. Allora Hu aveva parlato di “crescita inclusiva” per sottolineare l’esigenza di una maggiore distribuzione della ricchezza, e si era anche riaffermata leadership del Pcc (Partito comunista cinese) come “la fondamentale garanzia per raggiungere gli scopi dello sviluppo economico e sociale”.
 
In effetti, dal 2002 ad oggi – sotto la guida di Hu e Wen – la Cina è passata da sesta a seconda economia mondiale, ma la “crescita inclusiva” è stata disattesa. Secondo i sindacati cinesi, nell’83 i salari degli operai erano il 53% del Pil; nel 2005 essi sono soltanto il 36,7. In compenso, dal 1978 al 2005, la proporzione di Pil dei guadagni degli imprenditori è aumentata del 20%, portando all’attuale situazione di abisso fra ricchi e poveri, che in Cina è simile soltanto ai peggiori Paesi africani.
 
La differenza fra ricchi e poveri alimenta la tensione sociale. Un’inchiesta dell’Accademia delle Scienze sociali mostra che più del 70% dei cinesi afferma che le disuguaglianze fra ricchi e poveri sono il problema cruciale del Paese, che porta “all’odio verso i ricchi”, anche perché questa ricchezza è spesso accumulata con mezzi illeciti. Con l’aggiunta dell’inquinamento, i sequestri, le corruzioni dei membri del Partito, si capisce perché in Cina sono cresciute anche le rivolte sociali. Nel 1993, all’inizio dell’accelerazione delle riforme economiche, si contano 8 mila “incidenti di massa”; da alcuni anni la cifra è di circa 100 mila all'anno.
 
Il 26 febbraio scorso Wen Jiabao, rispondendo per 2 ore in una chat su internet, ha promesso interventi per frenare la rapida inflazione, le disuguaglianze sociali, la corruzione dei pubblici funzionari. Per questo egli pensa che quest’anno la crescita del Pil cinese sarà solo del 7,5% e non – come è avvenuto per quasi 20 anni – del 10%. Questo porterà a trasformare il modello di sviluppo: potenziare il consumo interno; aumentare i salari; frenare l’inquinamento; diminuire le tasse per le fasce a basso reddito, aumentando quelle per le fasce ad alto reddito.
 
Ma le prediche flautate e lacrimose di Wen, per uno sviluppo più centrato sul benessere del popolo, si scontrano con un dato di fatto: coloro che dovrebbero prendere le decisioni a favore del popolo sono proprio quelli che hanno causato l’abisso fra ricchi e poveri e hanno reso la Cina il Paese più inquinato della terra, e cioè imprenditori e “principini” (figli dei grandi del Pcc), che hanno finora preferito sfruttare senza freno popolazione e territorio. Secondo Bloomberg, all’Anp, i 70 membri più ricchi (su circa 3 mila deputati) posseggono insieme oltre 493 miliardi di yuan (circa 54 miliardi di euro). A paragone, i 70 più ricchi delle Camere Usa posseggono 4,8 miliardi di dollari (circa 3,43 miliardi di euro).
 
Eppure l’Anp sarà in qualche modo costretta a fare dei passi per ridistribuire la ricchezza. Non ultimo perché il modello di sviluppo cinese, basato sulle esportazioni, è ormai in crisi a causa della recessione mondiale. La sovrapproduzione che ingolfa i depositi cinesi ha bisogno di una crescita del mercato interno e perciò di un miglioramento delle condizioni della popolazione operaia.
 
L’altro elemento che spinge al cambiamento è la “rivoluzione dei gelsomini” e le trasformazioni avvenute in Tunisia ed Egitto. I problemi sociali da cui sono sorte quelle rivolte (carovita, disoccupazione, corruzione, dittatura,…) sono simili, se non uguali a quelli della Cina. Da settimane il governo frena le notizie su questi Paesi, oscura siti e blog, arresta dissidenti e passanti, blocca – e picchia - giornalisti cinesi e stranieri per scongiurare alla leadership del Pcc un destino simile a quello di Ben Alì e di Mubarak.
 
La “rivoluzione dei gelsomini” comprende anche domande di maggiore democrazia. Anche Wen Jiabao ha osato parlarne alcuni mesi fa (14/10/2010 Membri del Partito chiedono la fine della censura sulla stampa e sostengono Wen Jiabao), ma i suoi discorsi sono stati censurati.
 
Forse proprio per evitare “deviazioni democratiche” e assicurare il potere “sulla canna dei fucili” (come diceva Mao Zedong), quest’anno il bilancio dell’esercito vedrà un aumento del 12,7% (lo scorso anno vi era stato un aumento del 7,5). Per aumentare il sostegno al Partito, gli stipendi dei militari aumenteranno del 40%.
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