07/05/2025, 11.12
PAKISTAN - INDIA
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Appello dal Pakistan dopo i missili indiani: 'Serve pace, non nazionalismo armato'

di Shafique Khokhar

Nella notte l'India ha lanciato raid in territorio pakistano dopo l’attentato di Pahalgam. Islamabad ha riposto abbattendo alcuni jet e denunciando che le vittime sono civili, non terroristi come sostenuto da Delhi. Dure le condanne da parte di attivisti, leader religiosi e società civile in Pakistan.

Lahore (AsiaNews) - È stata denominata “Operazione Sindoor” l’offensiva notturna lanciata dall’esercito indiano contro nove obiettivi in territorio pakistano, intorno all’una della notte tra il 6 e il 7 maggio. Secondo quanto riportato in conferenza stampa da Ahmed Sharif Chaudhry, direttore generale dell’ISPR (l’ufficio relazioni pubbliche dell’esercito pakistano), l’attacco ha provocato otto vittime tra i civili – inclusa una bambina di tre anni – e 35 feriti, con altre due persone disperse. I missili avrebbero colpito nove obiettivi, tra cui le località di Bahawalpur, Muzafferabad, Kotli e Muridke, causando anche la distruzione di case e moschee.

L’India ha rivendicato l’operazione come un intervento contro il terrorismo, due settimane dopo l’attentato che a Pahalgam, in Kashmir, ha provocato la morte di 26 civili. L’India ha accusato il Pakistan di essere il mandante dell’attacco, accusa che Islamabad ha però respinto.

Il Pakistan, al contrario, accusa New Delhi di aver preso di mira la popolazione civile con i propri bombardamenti e ha risposto militarmente abbattendo cinque jet militari indiani e colpendo postazioni lungo la cosiddetta Linea di Controllo, il confine di demarcazione che attraversa il Kashmir. Questa mattina il bilancio era salito a 26 morti e 47 feriti sul versante pakistano, e 7 morti e 38 feriti su quello indiano, ma dopo la risposta del Pakistan nel Kashmir si è registrata la morte di altri 10 civili, secondo quanto affermato dai media indiani. 

“Condanno fermamente l'escalation del conflitto e gli atti di guerra tra India e Pakistan”, ha dichiarato ad AsiaNews Michelle Chaudhary, direttrice della Cecil & Iris Chaudhry Foundation. “La popolazione di entrambe le nazioni ha sofferto troppo e per troppo tempo. Coloro che vengono lasciati indietro piangono allo stesso modo, indipendentemente dal lato del confine a cui appartengono. L’ostilità deve cessare, l'impegno diplomatico deve essere prioritario. Estendiamo la nostra completa solidarietà alle forze armate del Pakistan, che con grande coraggio danno il massimo per proteggere la sovranità della nostra patria”.

È dura anche la condanna da parte dell’attivista britannica per i diritti umani Amelia Gill: “Quando un governo estremista perde la testa, sono sempre le persone a perdere la vita. L’India spara missili all'interno del Pakistan e lo chiama con disinvoltura ‘non-escalation’. È una barzelletta di prim’ordine, se solo non fosse così tragica. Alla fine, chi rimane ucciso? I turisti uccisi negli attentati in India e gli innocenti morti negli attacchi missilistici in Pakistan”. 

“Questo - ha proseguito l’attivista - è ciò che accade quando si eleggono al potere estremisti come il primo ministro indiano Narendra Modi”, che compiono azioni militari “per compiacere una base di elettori ubriachi di odio e nazionalismo. Cerchiamo di essere sani di mente e di augurarci che la pace prevalga”.

Dal Pakistan arriva anche l’appello di padre Lazar Aslam, sacerdote francescano cappuccino: “Esprimo la mia profonda preoccupazione per l’escalation del conflitto tra India e Pakistan, che hanno già combattuto diverse guerre, ognuna delle quali ha causato la perdita di vite innocenti e si è conclusa con cessate il fuoco temporanei, mai con vere e proprie risoluzioni. Faccio appello a entrambe le nazioni affinché scelgano la pace invece dell’ostilità. La guerra porta solo sofferenza. Il costo non lo pagano i leader, ma i civili – famiglie, bambini e comunità devastate”. E ancora: “Papa Francesco ha viaggiato per il mondo con un unico messaggio: la pace. Ispirato dalla sua missione, offro le mie preghiere per la riconciliazione in Asia meridionale. Invito anche i leader religiosi e le istituzioni globali a unirsi per promuovere uno spirito di pace. La forza non è nelle armi ma nel coraggio di perdonare, ascoltare e lavorare per l’armonia”.

In occasione dell’anniversario dell'autoimmolazione di mons. John Joseph, avvenuta nel 1998, i leader cristiani e musulmani di Faisalabad hanno diffuso una dichiarazione congiunta contro l’escalation militare, presieduta da mons. Indrias Rehmat, vescovo della diocesi, insieme a Pir Abdul Rahman (presidente del Comitato centrale interreligioso per la pace), Hafiz Muhammad Khabib Hamid (membro del Comitato per la pace di Faisalabad) e ad altri sacerdoti. “Rispettiamo la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani e siamo uniti per l’istituzione di un sistema sociale pacifico, democratico e giusto. In un mondo dove le guerre sono frequenti, condanniamo le atrocità commesse dall’India. Siamo al fianco del nostro esercito nazionale e apprezziamo la loro determinazione e i loro sacrifici nel difendere la nostra patria. Riconosciamo il loro duro lavoro e i loro sforzi coraggiosi, che sono essenziali per salvaguardare i nostri confini e stabilire la pace”, hanno dichiarato i leader religiosi.

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