14/06/2023, 08.48
KAZAKISTAN
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Archeologia: le armi dei nomadi della steppa

di Vladimir Rozanskij

Un archeologo di Almaty negli ultimi 15 anni ha raccolto strumenti, armi e munizioni di tutti i popoli che sono passati dalle steppe centrasiatiche, dai saki ai kazachi. Ed ora ha aperto il centro etnografico “Nomad”, da poco inaugurato, visitato da molti kazachi affascinati dalla possibilità di ricongiungersi allo stile di vita dei propri antenati.

Almaty (AsiaNews) - Un archeologo di Almaty, la grande città del Kazakistan meridionale, Stanislav Potapov, ha pubblicato i risultati delle sue ricerche e dei tanti scavi realizzati nella regione, in cui è riuscito a distinguere i tipi di armi e di oggetti vari degli antichi nomadi, che dalle steppe asiatiche si muovevano verso le più attraenti pianure europee.

Da semplice professore di storia, Potapov si è progressivamente lasciato prendere dalla passione per le testimonianze del passato più remoto, mettendosi a studiare le tradizioni del combattimento a cavallo e a piedi, che ha suscitato in varie epoche la straordinaria arte militare dei tatari e dei cosacchi. Negli ultimi 15 anni, l’archeologo ha raccolto strumenti, armi e munizioni di tutti i popoli che sono passati dalle steppe centrasiatiche, dai saki ai kazachi.

Da ragazzo, Stanislav amava ogni variante della scherma, ma non avrebbe mai pensato che questa sarebbe diventata il principale oggetto delle sue attività professionali. Finché non è riuscito a partecipare con alcuni suoi colleghi ad una spedizione archeologica molto fortunata, durante la quale è stata ritrovata una grande placca di bronzo ben conservata, con sopra l’immagine di un guerriero Kangju, un’antica popolazione che era riuscita a riunire diverse tribù nomadi dell’Asia centrale, diventando per un paio di secoli la seconda potenza della Transoxiana dopo gli Yuezhi.

Sulla base di questa scoperta, le ricerche hanno assunto una piega molto intensa, e sono venute alla luce anche le armature in pelle dei saki e le corazze di ferro dei sarmati. Come spiega Potapov, “la grande differenza tra questi equipaggiamenti stava nel loro costo, che distingueva i guerrieri kongju, kazachi e altri, e soprattutto esaltava le figure dei condottieri, le cui armature venivano decorate, anche con dettagli in oro e argento”. Soprattutto le cinture venivano abbellite, i turchi preferivano l’oro e i kazachi l’argento; le decorazioni in gran parte sono state cancellate dal tempo, ma i materiali sono ancora in perfetto stato.

La sistemazione delle armature ritrovate si è rivelata un’attività particolarmente delicata e costosa, da organizzare insieme al Museo nazionale del Kazakistan, con il coinvolgimento di molti esperti e consulenti in vari settori storici e archeologici, oltre che di artigiani dell’arte di forgiatura. I progetti di Potapov sono stati appoggiati con entusiasmo da un imprenditore, Zhandos Nurbekov, anch’egli molto attratto dalla storia antica locale fin dalla prima giovinezza. Dopo essere riusciti a completare il primo equipaggiamento completo, si è deciso di aprire un vero centro etnografico Nomad, da poco inaugurato, permettendo ai visitatori di fare un viaggio nel tempo, muovendosi per le steppe sconfinate come ai tempi antichi dei nomadi.

“All’inizio pensavamo che la struttura avrebbe attratto più che altro i turisti stranieri, al massimo con delle visite istruttive per gli studenti - racconta Nurbekov - e in effetti questo è avvenuto, finché si sono coinvolti operatori, artigiani e semplici cittadini kazachi, sempre più affascinati dalla possibilità di ricongiungersi allo stile di vita e allo spirito stesso dei nostri avi”.

Grazie a questa iniziativa, in tempi di carri armati super tecnologici e missili supersonici, in Kazakistan è diventata una moda la fabbricazione casalinga di frecce da 40 grammi l’una, come quelle ritrovate negli scavi, magari soltanto in plastica per far giocare i figli, o per abbellire le pareti. Potapov ha aperto accanto al Centro Nomad anche una scuola di scherma “all’antica”, per insegnare la storia non soltanto con la teoria, ma anche con la pratica di arti e culture di un tempo, nella speranza che insegnino qualcosa anche per il presente.

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