05/06/2008, 00.00
INDIA – TIBET – CINA
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Arresti di massa per la “Marcia di ritorno”

di Nirmala Carvalho
Ieri pomeriggio 259 tibetani e 6 membri del comitato organizzatore sono stati prelevati dalle autorità nei pressi di Berinag, a 160 km dal confine. Leader tibetano ribadisce l’intenzione di “raggiungere la meta” superando “tutti gli ostacoli”.

New Delhi (AsiaNews) – Ieri la polizia indiana ha arrestato 259 tibetani e sei membri del comitato organizzatore che avevano da poco ripreso la “Marcia di ritorno in Tibet”, ferma da 13 giorni per lo stop imposto dalle forze dell’ordine. I manifestanti hanno percorso un tragitto di 16 km quando sono stati bloccati nei pressi di Berinag, villaggio distante 160 km dal confine fra India e Tibet. Altri 50 marciatori, fra i quali gli attivisti tibetani Tenzin Tsundue e Shingza Rinpoche del monastero di Sera, sono rimasti al campo base di Banspatan – nello stato dell’Uttarakhand – con l’intento di proseguire verso il Tibet nel caso in cui il cammino del primo gruppo fosse interrotto. Nel frattempo i presidenti e un coordinatore delle 5 organizzazioni non governative che hanno promosso la “Marcia” continuano ad essere detenuti nel carcere di Roshanabad, nei pressi di Haridwar.

In un’intervista ad AsiaNews Tenzin Choedon, uno dei portavoce del Tibetan People’s Uprising Movement – il Movimento di ribellione del popolo tibetani, ndr – sottolinea che “i marciatori sono intenzionati a raggiungere la meta e questi arresti non hanno minato il loro spirito. Non abbiamo intenzione di batterci con il governo indiano, così come non vogliamo offendere le autorità locali”. “Nella battaglia per la libertà – ribadisce l’attivista tibetano – vi sono ostacoli come quelli che ci troviamo ad affrontare in questi momenti, ma dovranno essere superati; la nostra è una missione all’insegna della non-violenza, e metteremo piede in Tibet”. “La fiamma olimpica – conclude Tenzin Choedon – dovrebbe attraversare le nostre terre il 19 giugno: e questo è semplicemente inaccettabile”.

Partiti il 10 marzo (anniversario dell’occupazione cinese del Tibet nel 1959) da Mcloedganj, a Dharamsala, la sede del governo tibetano in esilio, i partecipanti alla “Marcia di ritorno” – ad oggi circa 300 persone divise in diversi gruppi – vogliono arrivare in Tibet a piedi in concomitanza con l’inizio delle Olimpiadi, l’8 agosto. Il loro cammino è stato più volte interrotto dalla polizia, l’ultima ieri pomeriggio alle 3.30 ora locali, quando un imponente sbarramento delle forze dell’ordine ha fermato i manifestati. Essi per protesta hanno subito incrociato le braccia e si sono seduti formando una catena umana; hanno inoltre intonato slogan e canti nei quali chiedevano alla Cina di abbandonare il Tibet. La polizia indiana li ha arrestati e al momento non è dato sapere dove siano stati portati.

Lhakpa Tsering, membro del Tibetan Youth Congress, sottolinea che “mentre la Cina si prepara a far sfilare la torcia olimpica in Tibet la prossima settimana, per ribadire il proprio dominio sul territorio”, la crescente repressione operata dalle autorità cinesi “peggiora le sofferenze del popolo tibetano” annichilito dalla “occupazione illegale” imposta da Pechino. “Il mio unico desiderio – afferma l’attivista – è quello di raggiungere il Tibet per riunirmi ai miei fratelli e sorelle, e fare in modo che il mondo sappia delle loro sofferenze”.

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