14/07/2023, 09.00
KAZAKISTAN
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Artista kazako in carcere con l'accusa di estremismo islamico

di Vladimir Rozanskij

Ad Astana inflitta una pena di 7 anni al pittore surreliasta Dauren Makin: contestato il reato di propaganda del terrorismo jihadista. Con i suoi disegni ha espresso forti critiche alle autorità in seguito ai disordini del gennaio 2022 e ritiene di essere perseguitato soltanto per le sue opinioni.

Astana (AsiaNews) - L’artista di Astana Dauren Makin è stato condannato a sette anni di prigione con l’accusa di “estremismo e propaganda del terrorismo”. Ha dichiarato di voler fare appello alla Corte suprema contro la sentenza, suscitando grande interesse e solidarietà in molti connazionali. Con i suoi disegni egli ha espresso forti critiche alle autorità in seguito ai disordini del gennaio 2022 e ritiene di essere perseguitato soltanto per le sue opinioni, tanto che gli attivisti umanitari del Kazakistan lo definiscono un “prigioniero politico”.

La sua arte consiste in disegni a matita su semplici fogli di carta, ed esprimono sensazioni di sconforto e disorientamento della persona, evidentemente incarcerata o comunque rinchiusa in una stanza, nelle diverse pose ed espressioni, per sottolineare i giorni difficili vissuti da tutti in Kazakistan. In altri disegni si vedono più chiaramente le sbarre e gli arredi della prigione, con due persone che guardano dalla finestra, o altri uomini legati e impossibilitati a muoversi.

Nella sentenza di condanna si legge che Makin “ha pubblicato sulle pagine dei suoi social network dei messaggi di propaganda del terrorismo, invitando al jihad armato, chiamando i funzionari statali kafiry e infedeli e invitando al rovesciamento violento delle autorità costituite”. L’avvocato dell’artista, Žasulan Kaumenov, ha dichiarato che le accuse si basano su registrazioni vocali fatte dagli agenti dei servizi di sicurezza, che si recavano in visita a Makin per “imparare a disegnare”.

In seconda istanza la sentenza è stata confermata, senza tener conto della poca affidabilità delle testimonianze raccolte; ma il pittore confida nella Suprema corte e “non ha intenzione di arrendersi”, assicura l’avvocato. Lo scorso 28 giugno Makin ha compiuto in carcere 48 anni. Nelle carte dell’accusa si legge che “dal 2010 Makin ha cominciato a professare la religione islamica, attingendo autonomamente dalle risorse internet alle fonti dei canoni religiosi, e dall’analisi delle sue ricerche si deduce che abbia cominciato a interessarsi delle attività delle organizzazioni terroristiche internazionali, che propagandano idee religiose distruttive”. Da qui l’accusa di “partecipazione al movimento terrorista islamico globale”.

Tali accuse si concentrano sui messaggi Facebook del 19 gennaio 2022, in cui egli si lamentava che “ci uccidono non soltanto con le pallottole, ma soprattutto con il terrore che ci rende pavidi e sottomessi al potere, con un’autocoscienza sempre più fragile e il desiderio di vivere lontani da ogni pericolo… Questo è un surrealismo marasmatico! Il popolo nei giorni scorsi si è finalmente svegliato, per la gloria di Allah!”. In un altro post scriveva che “mi piacciono le parole: Maidan, Taleban, Kazak, Zaporožskaja Seč [la storica sede dei cosacchi], Radical, Šal Ket, Tonkaj ket, Šura-Soviet!”, espressioni che rimandano allo spirito libero dei nomadi eurasiatici, più che ai terroristi dello Stato Islamico.

I suoi sedicenti “studenti di disegno” inviati per controllarlo hanno cominciato a frequentarlo già nel 2021, un uomo e una donna presentatisi come Arystan e Majra, ed egli ingenuamente li ha accolti in casa sua: “è un uomo di gran cuore”, ricorda l’avvocato. Loro stessi lo hanno stimolato a parlare dell’islam e della “lotta contro gli infedeli”, al che egli rispondeva che “ogni autentico musulmano deve sapersi difendere, anche con l’uso delle armi”, da cui l’accusa di istigazione alla lotta armata. La testimonianza di “Majra e Arystan” è avvenuta senza mostrare il volto dei testimoni, nascosti da quattro paraventi, e senza svelare il loro vero nome.

Il padre dell’artista, Askarbek Makin, ha mostrato al processo d’appello altri disegni del figlio, conservati fin dagli anni dell’adolescenza, per dimostrare la sua vera natura, “uno che vuole scoprire i disagi dell’anima, non provocare lui stesso il male”. Ma i giudici hanno deciso di non tenerne conto, basandosi soltanto “sull’analisi filologica, politologica, teologica e di storia delle religioni” per i suoi presunti messaggi social, molti dei quali evidentemente artificiosi. I disegni di Makin parlano del popolo kazaco, spesso ritratto nei costumi nazionali, e alcuni sono perfino esposti al Museo nazionale di Astana: la persecuzione nei suoi confronti è la migliore dimostrazione della fatica di tutto il Kazakistan a liberarsi dell’autoritarismo del passato, e a scegliere di aprire nuove strade dello spirito e della società.

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