31/12/2021, 08.00
L'ANNO CHE SI CHIUDE
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Asia:10 volti simbolo per il 2021

Dal generale della repressione in Myanmar alla suora coraggio di Kabul, dalle voci della libertà in carcere a Hong Kong al gesuita morto dopo 8 mesi di prigione in India: ripercorriamo questi dodici mesi in Asia attraverso le storie di alcune figure chiave che abbiamo raccontato su AsiaNews. 

Libertà negate e testimonianze di speranza, leader politici emergenti e persone semplici che hanno fatto qualcosa di straordinario per gli altri: l'abbiamo raccontata così l'Asia nei dodici mesi che si chiudono negli articoli di AsiaNews. Nell'ultimo giorno del 2021 vogliamo provare a ripercorrere i suoi fatti principali in Asia attraverso 10 figure simbolo che secondo noi hanno contraddistinto l'anno che si chiude. 

MIN AUNG HLAING (Myanmar)
Ha il volto del militare da solo al potere - tristemente riemerso dal passato - il drammatico 2021 del Myanmar: il volto del generale Min Aung Hlaing, il comandante in capo delle forze armate, che con il golpe del 1 febbraio ha cancellato l’esito delle elezioni dell’8 novembre 2020, che erano state vinte in maniera netta dalla Lega Nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, tornata agli arresti. Il generale autoproclamatosi primo ministro ha represso col pugno di ferro le proteste di piazza in favore della democrazia e moltiplicato le atrocità contro l’insurrezione delle milizie etniche. Secondo i dati raccolti dal quotidiano online Irrawaddy sono almeno 1.382 le persone uccise dai militari in Myanmar dall’inizio di febbraio.

JIMMY LAI e LEE CHEUK-YAN (Hong Kong)
Se c’è una data più di ogni altra simbolo del 2021 per Hong Kong è il 17 giugno, il giorno dell’irruzione della polizia nella sede di Apple Daily, il quotidiano indipendente del magnate pro-democrazia Jimmy Lai, già in carcere da mesi per la sua partecipazione alla veglia che ogni anno commemora a Hong Kong le vittime del massacro di piazza Tiananmen e alle manifestazioni a sostegno della democrazia del 2019. Soffocato economicamente dopo il varo di quella legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino che ha cancellato ogni possibilità di esprimere liberamente la propria opinione, Apple Daily è stato costretto a chiudere. L'altro volto simbolo delle libertà negate a Hong Kong è quello dell’ex parlamentare e sindacalista Lee Cheuk yan: comparendo davanti al giudice, Lee ha definito l’annuale veglia del 4 giugno in ricordo della repressione consumatasi a Pechino nel 1989 come “la lotta della memoria contro l’oblio”.

ZHAO LIJIAN (Cina)
A Pechino anche il 2021 è stato un altro anno nel segno di Xi Jinping, con la sua impronta sulle celebrazioni per il centenario del Partito comunista cinese ma anche con la “risoluzione storica” con cui il Plenum lo ha elevato al rango di Mao Zedong e Deng Xiaoping. Una leadership non immune da difficoltà economiche e lotte intestine al Partito, ma fortemente proiettata sullo scenario internazionale. Anche per questo nei dodici mesi passati si è affermato sempre più spesso il volto di Zhao Lijian agguerrito portavoce del ministero degli Esteri e capo indiscusso dei "wolf warrior" della diplomazia cinese. Dalla disinformazione sul Covid-19 alle bordate su Taiwan, Zhao è sempre più l’interprete delle aspirazioni della Cina di Xi negli equilibri del mondo di domani.   

STAN SWAMY (India)
Nemmeno l’anno che ha messo l’India in ginocchio per la pandemia ha fermato le violenze dei nazionalisti indù contro i cristiani locali, che in alcuni Stati come il Karnataka hanno raggiunto livelli mai visti. È però soprattutto un volto a riassumere per il 2021 questo dramma: quello di p. Stan Swamy, gesuita morto in un ospedale di Mumbai il 5 luglio dopo oltre otto mesi trascorsi in carcere con l’accusa di “terrorismo” per il proprio impegno a favore dei diritti dei tribali nel Jharkhand. Lasciato in prigione a 83 anni col morbo di Parkinson sulla base di false accuse costruite anche con sofisticati sistemi informatici. Vittima di una persecuzione violenta avallata dalle istituzioni indiane, prima ancora che del Covid contratto in carcere che ha minato il suo corpo.

ALEXEJ NAVAL’NYJ (Russia)
Il 2021 è stato anche l’anno di Aleksej Naval’nyj, il blogger russo anti-corruzione divenuto il volto più noto dell’opposizione a Vladimir Putin. Arrestato il 17 gennaio al suo rientro in Russia cinque mesi dopo il tentativo di avvelenamento in Siberia, Naval’nyi è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione che sta scontando nel campo correzionale n.2 di Pokrov. Intanto a settembre le elezioni hanno visto ancora una volta il partito del presidente Russia Unita assicurarsi la maggioranza assoluta alla Duma che gli permette di modificare a piacimento la Costituzione.

SHANHAZ BHATTI (Afghanistan)
Kabul tornata nelle mani dei talebani è stata la notizia che ha dominato l’estate 2021. Un ritorno indietro pesante, icona delle contraddizioni profonde di vent’anni di presenza occidentale, il cui prezzo è stato pagato dalla popolazione civile afghana con i diritti negati alle donne e ora anche con la gravissima crisi alimentare che colpisce milioni di persone. Dentro a questo gigantesco dramma nel 2021 abbiamo raccontato la storia di sr. Shanhaz Bhatti, religiosa pachistana che a Kabul gettava ponti di amicizia prendendosi cura di un gruppo di disabili attraverso l’associazione “Pro Bambini di Kabul”. Anche lei è stata costretta a lasciare il Paese ad agosto; ma il seme gettato in questa terra resta vivo anche attraverso le relazioni che dall’Italia continua a mantenere con chi è rimasto tremendamente solo a Kabul. Nella speranza di poter un giorno ritornare.

MARIA RESSA (Filippine)
Il 2021 è stato anche l’anno del ritorno del Premio Nobel per la pace in Asia con l’assegnazione alla giornalista filippina Maria Ressa, fondatrice del sito indipendente Rappler, premiata insieme al collega russo Dmitri Muratov. Il Nobel a Maria Ressa ha acceso i riflettori sulle gravi violazioni dei diritti umani nelle Filippine di Rodrigo Duterte e sulla convulsa campagna elettorale per le elezioni presidenziali 2022 dove il principale favorito oggi è Fernando Marcos Jr, il figlio dell’ex dittatore deposto nel 1986. Ma a Oslo, nel discorso pronunciato ritirando il premio, Maria Ressa ha puntato con forza il dito anche contro l'industria dei social media, giudicata da lei corresponsabile della crisi della democrazia e del dilagare della violenza in Paesi come le Filippine.

FUMIO KISHIDA (Giappone)
Dopo che la cattiva gestione della pandemia ha travolto il predecessore Yoshihide Suga, il Giappone ha visto negli ultimi mesi del 2021 l’ascesa di un nuovo premier, Fumio Kishida. Ex ministro degli Esteri, a fine settembre ha vinto a sorpresa le primarie del Partito liberaldemocratico e ha superato il primo test elettorale il 31 ottobre. La ripresa dell’economia giapponese dopo lo shock causato dal Covid-19 è la principale sfida sulla quale il nuovo premier sta giocando la propria partita.

MANSOUR ABBAS (Israele)
Per Israele il 2021 è stato l’anno in cui Benjamin Netanyahu dopo più di 12 anni ininterrotti ha dovuto abbandonare la guida del governo. Il suo posto lo ha preso Naftali Bennet, politico anche lui proveniente dalla destra israeliana, ma alla guida di una coalizione molto eterogenea che comprende anche un alleato fino a ieri inaspettato: il partito arabo Ra’am dell’islamista pragmatico Mansour Abbas. Garantendo il suo sostegno (determinante), Abbas ha rotto un tabù portando ufficialmente al governo una rappresentanza degli arabi israeliani, cioè quegli arabi che sono a tutti gli effetti cittadini di Israele in quanto discendenti di coloro che nel 1948 soprattutto in Galilea decisero di non abbandonare le proprie case, ma rimanere a vivere in Israele. Punta pragmaticamente a ottenere risultati per le loro comunità ma in un equilibrio difficile in un governo che non frena affatto sulla questione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania.

CAMILLA HADDAD (Iraq)
Tra le storie dal Medio Oriente che abbiamo raccontato nel 2021 c’è anche quella di Camilla Haddad, anziana cristiana di Mosul, salvata da una famiglia musulmana che l’ha accolta e ospitata durante le prime fasi dell’ascesa dello Stato islamico a Mosul, quando le milizie jihadiste imponevano la sharia a colpi di violenza e massacri. Elias Abu Ahmed assieme alla moglie l’ha accudita, mentre i figli la consideravano come una loro nonna. Oggi ha 98 anni, è ancora in discreta forma e nei mesi scorsi ha incontrato il patriarca caldeo a Baghdad. 

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