16/12/2025, 13.26
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Baghdad saluta la missione Onu e guarda - con qualche timore - al futuro governo

di Dario Salvi

Il 31 dicembre si chiude dopo oltre 20 anni la missione di assistenza delle Nazioni Unite (Unami). Nei giorni scorsi il saluto alla presenza del segretario generale dell'Onu. Il Paese si è sviluppato e stabilizzato, ma restano ancora elementi di incertezza. L’attesa del nuovo governo dopo il voto e l’incognita sul premier uscente. Card. Sako: “Il popolo aspetta un nuovo Iraq”.

Milano (AsiaNews) - Una missione “onorevole, dignitosa e che ha avuto dei meriti” nel processo di stabilizzazione e di sviluppo del Paese. Così un funzionario Onu ha definito gli oltre 20 anni di lavoro della missione di assistenza delle Nazioni Unte (Unami) in Iraq, che il prossimo 31 dicembre conclude il proprio mandato dopo aver vissuto guerre, stravolgimenti politici e lotta allo Stato islamico (SI, ex Isis). La cerimonia di chiusura si è tenuta la sera del 13 dicembre scorso nella capitale, alla presenza di alte personalità politiche, istituzionali e religiose, musulmane e cristiane, fra le quali vi era anche il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako. Fra le autorità il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres e il primo ministro ad interim del Paese Mohammed Shia Al-Sudani, il quale ha elogiato il ruolo dell’organismo internazionale “in 22 anni pieni di sfide, speranze e determinazione”. “La missione Unami - ha proseguito il capo del governo - si è rivelato un partner fondamentale nel sostenere e assistere l’Iraq dopo la liberazione dalla dittatura [di Saddam Hussein] e l'istituzione di un nuovo sistema basato sulla democrazia e sulla libera rappresentanza dei suoi componenti”.

Unami: sacrificio e sostegno

Mohamed Al Hassan, rappresentante speciale del segretario generale (Srsg) e capo Unami ha spiegato che la fine della missione è il riflesso del cambiamento del Paese dalla sua istituzione nel 2003, dopo decenni di dittatura, guerre e terrore. Negli anni Unami ha fornito un ”supporto critico” in molti settori: stabilizzazione politica, dialogo nazionale inclusivo, riconciliazione a livello comunitario nelle aree colpite dal conflitto. E ha anche svolto un ruolo centrale nell’assistenza elettorale, contribuendo a più turni di elezioni locali e nazionali. “Quando è iniziata Unami, l’Iraq era un posto molto diverso da quello di oggi” spiega Al Hassan, che ricorda un evento su tutti: a pochi giorni dall’inizio della missione nell’agosto 2003 vi è stato un attacco al quartier generale Onu a Baghdad che ha causato la morte di 22 membri dello staff e il ferimento di altri 100. Oggi è iniziata una nuova era: “Con i sacrifici degli iracheni prima di tutto, e col sostegno internazionale, in particolare delle Nazioni Unite, l’Iraq è pronto a passare a un’altra fase, consolidando la sua sovranità e integrità territoriale”. 

L’esperto delle Nazioni Unite ha proseguito ricordando i recenti sviluppi che confermano il percorso di stabilizzazione, a partire dalle elezioni di novembre che la stessa Unami ha sostenuto e considera tra le più credibili fino ad oggi. Con un’affluenza del 56% degli aventi diritto, sono state anche una dimostrazione di rinnovato impegno pubblico. Tuttavia, il Paese sente ancora l’impatto a lungo termine del conflitto: circa un milione di iracheni sono sfollati interni, tra cui più di 100mila yazidi che vivono ancora nei campi dopo una sofferenza inimmaginabile per mano dell’Isis. E restano criticità anche riguardo ai diritti delle donne e la parità di genere: “L’Iraq oggi è molto meglio di prima per quanto riguarda i diritti delle donne - ha spiegato Al Hassan - ma la violenza è purtroppo aumentata”. Per questo, pur a fronte di una chiusura della missione Unami, “resteranno operative molte altre agenzie come Unicef, Oms, Iom, Undp, oltre a Banca mondiale e Fmi”. Con riserve di petrolio significative e un forte Pil, l’Iraq, conclude, “non deve cercare aiuti o carità, ma ha bisogno del sostegno e dell’amicizia della comunità internazionale”.

Incertezza dalle urne

Intanto la Corte suprema federale irachena ha ratificato, confermandoli, gli esiti emersi nelle prime ore dalla conclusione delle elezioni politiche che si sono tenute il mese scorso, e che hanno restituito un quadro che resta incerto: l’attuale premier ha infatti conquistato il maggior numero di seggi, ma non abbastanza da poter governare da solo e saranno necessari accordi o alleanze con altre forze in Parlamento. La coalizione per la Ricostruzione e lo sviluppo di Mohammed Shia Al-Sudani ha ottenuto 46 dei 329 seggi che costituiscono l’Assemblea.  Tuttavia, nelle passate elezioni il blocco che ha vinto il maggior numero di seggi spesso non è stato in grado di imporre il proprio leader e il primo ministro è emerso solo in seguito ad accordi fra fazioni diverse.

La coalizione guidata dall’ex premier Nouri Al-Maliki ha conquistato 29 seggi, il Blocco Sadiqoun, guidato dal leader della milizia Asaib Ahl Al-Haq, Qais Al-Khazali, ha vinto 28 seggi e il Partito Democratico del Kurdistan (Pkd) di Masoud Barzani, uno dei due principali partiti curdi iracheni, ha vinto 27 seggi. Anche il partito Taqaddum (Progress) dell’ex presidente del Parlamento estromesso Mohammed Al-Halbousi ha raccolto 27 seggi, preparando così il terreno per un rientro del suo leader o, in ogni caso, una rinnovata influenza nel panorama politico nazionale. Nel complesso, le alleanze e le liste sciite si sono assicurate 187 seggi, i gruppi sunniti 77, i gruppi curdi 56 seggi e nove seggi riservati ai gruppi minoritari.

Al-Sudani è salito al potere nel 2022 col sostegno del Quadro di coordinamento, una coalizione di partiti sciiti sostenuti dall’Iran, ma non è chiaro se l’alleanza lo sosterrà di nuovo o se saprà raccogliere altrove i voti necessari per restare alla guida del governo. Di certo vi è che senza un singolo blocco in grado di formare un governo da solo, i leader politici dovranno avviare negoziati per costruire una coalizione di governo. Ora la Costituzione prevede che il presidente ha 15 giorni di tempo per convocare il neo-eletto Parlamento, che iniziano dal giorno in cui la Corte ratifica il voto. Fra i primi obblighi l’elezione del nuovo presidente del Parlamento stesso e dei due vice con scrutinio segreto, in base al criterio della maggioranza assoluta. Lo “speaker” dell’Assemblea svolge un ruolo di primo piano, perché è chiamato a guidare e ratificare l’iter che porta all’elezione del capo dello Stato, del primo ministro e della squadra di governo. L’articolo 76 della Costituzione richiede al presidente di nominare il candidato del blocco che ha ottenuto il maggior numero di consensi, il quale avrà poi 30 giorni a disposizione per cercare di formare il nuovo esecutivo. In caso di insuccesso starà il presidente dovrà quindi nominare un nuovo candidato.

Sako: un nuovo Iraq

Per il Paese si apre dunque una fase di incertezza e trattative serrate fra i diversi schieramenti, per cercare di garantire stabilità e, almeno nella prospettiva del premier uscente, continuità nell’azione di governo. In questo quadro si inserisce la riflessione pubblicata in questi giorni dal card. Sako, secondo cui il popolo aspetta con ansia “la nascita di un nuovo Iraq” che sappia archiviare le criticità del passato, non ultime le violenze etniche e confessionali che hanno insanguinato a lungo la nazione. “Dopo la caduta del precedente regime nel 2003, gli iracheni - si legge nella nota a firma del porporato sul sito del patriarcato caldeo - attendevano con ansia la creazione di un Iraq nuovo, sicuro, stabile, democratico e sovrano, con un sistema civile che trattasse tutti i cittadini allo stesso modo. Tuttavia, ciò che accadde fu un sistema di quote settarie e di emirati tribali, che aprì la porta all’amara esperienza dell’Isis, legittimò la corruzione e istituì milizie che, nel tempo, divennero più forti dello Stato, spingendo gli iracheni a emigrare”. 

Oggi, dopo 22 anni di esperienza e le nuove elezioni parlamentari, avverte, è necessaria “una coraggiosa presa di posizione” in una prospettiva di “correzione e riconciliazione” per dar vita infine a uno Stato moderno. Per raggiungere l’obiettivo, prosegue il card. Sako, è necessaria “una lettura approfondita degli sviluppi regionali e internazionali in rapida evoluzione” oltre a “unificare le visioni e coordinare le posizioni”. “Le crisi - sottolinea - non si risolvono con la forza, ma aprendosi alla cultura contemporanea, una cultura più razionale e realistica che si preoccupa dei servizi, delle istituzioni sociali, culturali, legali ed economiche, simili a quelle dei paesi sviluppati di tutto il mondo, attraverso il dialogo, la comprensione e la ricerca di un terreno comune”. Per far questo è necessario garantire uno “Stato di diritto” e la “applicazione del criterio di cittadinanza”, mentre la Costituzione deve “proteggere i diritti e le libertà di tutti”. “Ritardare la formazione del governo - conclude il porporato - non giova al Paese, quindi è fondamentale accelerare” l’iter pur salvaguardando il bene comune: un esecutivo che “riflette le aspirazioni” del suo popolo, che sia “sovrano e deciso”, capace di ”ripristinare il benessere e il prestigio dell’Iraq”, che cerchi di “attuare giustizia, uguaglianza e integrità, sappia affrontare fallimenti e crisi”. 

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