04/02/2013, 00.00
PAKISTAN
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Baluchistan: rifiutava di convertirsi all’islam, cristiano ucciso a colpi di pistola

di Jibran Khan
Il 55enne Younas Masih è morto nel pomeriggio di oggi, dopo giorni di agonia. Il 31 gennaio un uomo armato lo ha fermato mentre rientrava dal lavoro e gli ha sparato cinque colpi. Di recente un gruppo di colleghi lo minacciava, intimandogli di abbracciare la fede di Maometto. La polizia rifiuta di aprire un’inchiesta.

Islamabad (AsiaNews) - È morto questo pomeriggio Younas Masih, 55enne cristiano di Chaman, nella provincia del Baluchistan, colpito il 31 gennaio scorso con cinque proiettili da uno sconosciuto mentre tornava a casa. Le sue condizioni sono apparse critiche fin dall'inizio; dopo cinque giorni di lotta fra la vita e la morte, egli è deceduto. Secondo le prime, frammentarie ricostruzioni della vicenda, pare che sia stato oggetto di un attacco mirato, per essersi rifiutato di convertirsi all'islam su pressione dei colleghi di lavoro.

Masih era impiegato in qualità di operaio in una ditta di Chaman; gli amici lo descrivono come una persona onesta, affidabile e ferma nella sua fede cristiana, tanto da essere più volte coinvolto nelle attività della parrocchia di appartenenza. Fonti locali, dietro anonimato, raccontano ad AsiaNews che di recente alcuni colleghi gli hanno chiesto di convertirsi all'islam; una proposta che egli ha rispedito - sdegnato - al mittente, dicendo di voler restare "saldo nella fede in Cristo". Pur sapendo di conversazioni alle sue spalle e nonostante le ripetute minacce, egli ha continuato il lavoro e non ha mai ceduto alle pressioni o ai ricatti.

Il 31 gennaio i colleghi sono tornati alla carica, chiedendogli di nuovo di convertirsi. Ne è scaturita una discussione animata, durante la quale sono volati insulti e minacce. Il giorno stesso, sulla via di casa, egli è stato raggiunto da un uomo armato che l'ha fermato e ha esploso cinque colpi di proiettile. Trasportato d'urgenza in ospedale, egli è stato ricoverato in condizioni definite subito "critiche". I medici sono intervenuti, estraendo i proiettili, poi lo hanno trasferito nel reparto di terapia intensiva dove è rimasto fino al decesso.

Il figlio ha cercato di denunciare l'episodio alle forze dell'ordine, ma gli agenti non hanno voluto redigere il First Information Report (Fir) e aprire un fascicolo di inchiesta. Nonostante i ripetuti tentativi, le forze dell'ordine hanno respinto ogni appello alla giustizia lanciato dalla famiglia. I parenti sono devastati dalla perdita del loro caro e si sentono abbandonati da istituzioni e autorità. Intanto le organizzazioni attiviste Masihi Foundation e Life for All, condannando con fermezza l'omicidio, sono intervenute chiedendo giustizia a nome dei familiari. E si dicono "sconcertate" per l'atteggiamento di polizia e autorità locali.

Raggiunto da AsiaNews p. James Chand, sacerdote a Quetta, parla di "tragedia" che "ha colpito il cuore" perché "un uomo è stato ucciso per la propria fede". Egli conferma le ripetute minacce subite da Younas Masih e definisce "sconcertante" l'atteggiamento delle autorità che dovrebbero far luce sull'intera vicenda. "Chiediamo protezione per la vita e le proprietà delle minoranze pakistane", conclude il sacerdote, che si rivolge ai responsabili di governo e della giustizia perché assicurino "il rispetto dei diritti umani di base" e "proteggano le minoranze dal clima di odio e violenze". 

 

 

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